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Il Mes della discordia che nessuno vuole

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Previste profonde modifiche per evitare effetto Grecia

di A.L. – Ora nessuno se ne assume la paternità e la stessa Meloni che al tempo dell’approvazione, 2012, era ministra non ne vuol sapere.

Correva l’anno 2011, Berlusconi premier ed un governo di centrodestra in carica, l’Unione Europea tirò fuori dal cilindro una norma che a parole doveva servire a dare un aiuto agli stati in difficoltà ma che in pratica li affossava ulteriormente.

Tragico l’esempio della Grecia costretta a distruggere lo stato sociale ed a svendere i suoi gioielli alla Germania ed in parte alla Cina.

L’ok dell’Aula del parlamento italiano arrivò otto anni fa sotto il governo Monti, dopo che il Consiglio dei ministri numero 189 del governo Berlusconi IV si riunì a Palazzo Chigi il 3 agosto 2011, tre mesi prima delle dimissioni e ad appena due giorni dalla lettera congiunta del presidente uscente della Bce Jean Claude Trichet e di quello in pectore Mario Draghi con la quale indicarono all’Italia una serie di misure urgenti per superare la crisi.

Ma attenzione, il sì dell’Eurogruppo non significa che l’Italia lo ha attivato.

La cronaca di quei giorni l’ha ricordata Mario Monti in un editoriale sul Corriere della Sera: “Il Mes rappresenta l’evoluzione del Fondo europeo per la stabilità finanziaria (Fesf). Il Fesf prima e il Mes poi sono stati preparati e decisi a livello europeo nel 2010-2011 con l’Italia rappresentata da Silvio Berlusconi nel Consiglio europeo e da Giulio Tremonti nell’Ecofin ed Eurogruppo. Quel governo si reggeva sull’alleanza Pdl-Lega. Giorgia Meloni ne faceva parte come ministro per il Pdl, Matteo Salvini era europarlamentare della Lega”.

L’obiettivo – continuava il governo nella nota stampa diffusa nei giorni in cui lo spread galoppava – è “far sì che tutti gli Stati dell’Eurozona possano istituire, se necessario, un meccanismo che renderà possibile affrontare situazioni di rischio per la stabilità finanziaria dell’intera area dell’euro”. La decisione del Consiglio dei ministri di dire sì alla decisione del Consiglio europeo è l’architrave della definizione del Fondo Salva-Stati che sarà poi perfezionata dal governo di Mario Monti, subentrato nel novembre 2011 al governo Berlusconi.”

CHE COSA E’ E COSA PREVEDE IL MES

E’ un Meccanismo Europeo di Stabilità, un’organizzazione intergovernativa europea. È attivo dal luglio del 2012, come evoluzione dei precedenti meccanismi FESF (Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria) e MESF (Meccanismo Europeo di Stabilità Finanziaria).

Ha sede in Lussemburgo ed è gestito da:

• un Board of Governors (i ministri finanziari dell’area euro) presieduto dal portoghese Mario Centeno, Presidente dell’Eurogruppo;
• un Board of Directors (i cui membri vengono scelti dai ministri finanziari);
• un direttore generale (il tedesco Klaus Regling) che gestisce gli affari correnti del MES seguendo le indicazioni del Board of Directors. Inoltre presiede le riunioni del Board of Directors e partecipa a quelle del Board of Governors.

Il Presidente della Bce e il Commissario europeo agli Affari Economici partecipano in qualità di osservatori.

Il compito del MES è fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell’area euro che attraversano (o rischiano in modo concreto) gravi problemi di finanziamento. L’assistenza viene concessa solo nel caso in cui sia necessaria per salvaguardare la stabilità finanziaria dell’intera area euro e dei membri del MES stesso.

Gli strumenti a disposizione vanno dalla possibilità di concedere prestiti ai Paesi in difficoltà per consentire un aggiustamento macroeconomico (soluzione utilizzata finora da Irlanda, Portogallo, Grecia e Cipro) fino al prestito per la ricapitalizzazione indiretta delle banche (aiuto finora fornito alla sola Spagna). Gli altri strumenti previsti dallo statuto del MES (acquisti di titoli sul mercato, linee di credito precauzionali e ricapitalizzazione diretta) non sono finora mai stati usati.

IL MES viene finanziato dai singoli Stati membri con una ripartizione percentuale in base alla loro importanza economica. La Germania, contribuisce per il 27,1 %, seguita dalla Francia (20,3%) e dall’Italia (17,9%).

La “potenza di fuoco” (o ammontare massimo) complessivamente autorizzata è di 700 miliardi di euro: il finanziamento diretto da parte degli Stati ammonta a 80 miliardi di euro (l’Italia ha versato 14,3 miliardi, la Francia 20 e la Germania 27). I restanti 620 miliardi possono essere raccolti sui mercati finanziari attraverso l’emissione di bond.

I prestiti non vengono concessi senza condizione, ma solo dopo che il Paese richiedente ha sottoscritto una lettera di intenti o un protocollo d’intesa (o Memorandum of Understanding). Protocollo che viene negoziato dal Paese interessato e dalla Commissione Europea a nome del MES.

In genere vengono richieste riforme specifiche, mirate ad eliminare o quantomeno mitigare l’effetto dei punti deboli dell’economia del Paese richiedente. Il MES prevede in particolare interventi in tre aree:

• Consolidamento fiscale, con tagli alla spesa pubblica per ridurre i costi della Pubblica amministrazione e migliorarne l’efficienza, e parallelamente aumentare le entrate attraverso privatizzazioni o riforme fiscali;
• Riforme strutturali, con l’adozione di misure di stimolo alla crescita, alla creazione di posti di lavoro e alla competitività;
• Riforme del settore finanziario, con misure destinate a rafforzare la vigilanza bancaria o, se necessario, a ricapitalizzare le banche.

La prima linea di credito è chiamata PCCL (Precautionary Conditioned Credit Line): è accessibile a tutti i Paesi dell’area euro la cui situazione economica e finanziaria è fondamentalmente solida. I Paesi devono soddisfare alcuni criteri (il più noto dei quali è quello del rapporto debito/Pil che deve essere entro il 60%) oltre a impegnarsi nel rispetto del patto di stabilità e crescita e della procedura per i disavanzi eccessivi. Devono avere una storia di accesso ai mercati dei capitali a condizioni ragionevoli, un debito pubblico sostenibile e l’assenza di problemi di solvibilità bancaria.

La seconda linea di credito è l’ECCL (Enhanced Conditions Credit Line): è accessibile a tutti i Paesi dell’area euro con una situazione economica e finanziaria in generale solida, senza però rispettare alcuni dei criteri di ammissibilità per l’accesso al PCCL, primo fra questi come abbiamo visto il rapporto debito/Pil sotto al 60% (all’ECCL accedono i Paesi con un rapporto debito/Pil superiore al 60%). Il Paese sarà obbligato ad adottare misure correttive per rientrare nei parametri non rispettati ed evitare eventuali difficoltà future per quanto riguarda l’accesso al finanziamento del mercato.

Attualmente i Paesi che hanno un rapporto debito/Pil superiore al 60% sono: Grecia, Italia, Portogallo, Belgio, Cipro, Francia, Spagna, Austria, Slovenia e Irlanda.

IL MES e la ristrutturazione del debito pubblico.

L’ipotesi di una ristrutturazione del debito per i Paesi che chiedono di accedere ai programmi di sostegno è stata prevista per evitare che un Paese in difficoltà possa far ricorso all’aiuto del MES senza procedere ad alcun tipo di riforma o intervento strutturale: in pratica limitandosi a incassare il prestito senza tenere sotto controllo i conti pubblici, sapendo che un soggetto terzo (e comune) provvederà a saldare i creditori.

COSA E’ CAMBIATO DAL 2019

Il processo di riforma del MES vede una prima fase a metà 2019 con il sostanziale via libera dei ministri delle Finanze all’Eurogruppo del 13 giugno, seguito una settimana dopo dalla riunione dei capi di Stato e di governo. In ogni caso, essendo la modifica di un trattato, ogni variazione al testo originale deve essere approvata in via definitiva dai Parlamenti nazionali. Tra le principali modifiche previste ricordiamo:

• Il backstop: la possibilità di utilizzare il MES come fondo per le risoluzioni bancarie (ossia le ristrutturazioni gestite da autorità indipendenti).
• Le procedure per la ristrutturazione del debito pubblico, ossia una riduzione concordata del valore del prestito fatto allo Stato: in pratica i creditori (tutti i sottoscrittori dei Titoli di Stato) vedrebbero decurtata la cifra che attendono in restituzione. La ristrutturazione del debito, pur non essendo un requisito necessario per la concessione del credito, con le modifiche al MES diventa più semplice perché prevede un voto unico di tutti i creditori e non, come in precedenza, un voto separato per ogni tipologia di credito (Titolo di Stato) detenuto.

Ma è evidente che nessuno stato accetterà di svendere la propria autonomia decisionale a chicchessia, pertanto il Mes è finito nel dimenticatoio per ricomparire al tempo del coronavirus ma nessuno vuol farne ricorso.

Da qui l’idea voluta fortemente da Italia, Francia, Spagna ed altri 6 stati ed avversata da Germania, Olanda e Finlandia, di dare vita a dei bond solidali che garantiscono collettivamente il debito derivato dalla pandemia.