Home Attualità Ai giovani nelle scuole primarie s’insegni il fermo no alla violenza

Ai giovani nelle scuole primarie s’insegni il fermo no alla violenza

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Già nell’antica Grecia Aristotele esortava i discepoli a rifiutare ogni forma di malvagità

di Bruno Di Pilla

Sono davvero inevitabili guerre, femminicidi, violenze giovanili e conseguenti atrocità quotidiane? E’ vero, come afferma sant’Agostino, che la volontà umana nulla può senza la grazia di Dio e che l’uomo, dopo il peccato originale di Adamo, è naturalmente inclinato al male, al punto che il suo stato venne riassunto nel celebre aforisma “non potest non peccare”.

E’ altrettanto vero, però, che la decisione circa il nostro destino, terreno e per chi crede eterno, dipende anche dalle buone opere compiute e dalla personale “possibìlitas non peccandi” di cui parlò il monaco britannico Pelagio. D’altronde fu Papa Barberini Urbano VIII, nel 1642, a condannare con forza il rigoroso predestinazionismo del teologo olandese Christian Jannsen (Giansenio, in latino Iansenius) che, nel suo trattato “Augustinus”, negò ogni forma di libero arbitrio e di autonoma scelta da parte dell’essere umano, secondo lui ontologicamente e per natura malvagio.

Contro ogni determinismo e costrizione esterna della coscienza fu proprio Socrate a rivendicare la nobiltà del libero pensiero, addirittura sacrificando la vita per difendere le sue opinioni. Aristotele, poi, esortò i discepoli della Scuola Peripatetica a riflettere sulle conseguenze dei propri atti resistendo al male, agli impulsi istintivi, ai desideri d’onnipotenza e dirigendosi verso fini moralmente elevati.

Non accampino scuse i violenti, Putin e gli altri implacabili signori della guerra in ogni epoca storica. L’etica, come scienza del bene e dei più alti valori, è sempre stata esaltata non solo dal Giudaismo, dal Cristianesimo e dagli stessi filosofi illuministi, ma, secoli prima, dai personaggi della Grecia di Esiodo, Solone, Pericle e Platone, le cui concezioni virtuose sarebbero state interpretate e riprese, a Roma, da Seneca e dagli Stoici, nonché, nell’era moderna, dal razionalismo aprioristico di Kant, per il quale la legge morale deve ispirare e precedere ogni azione concreta.