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Umbria terra generosa che conta 80mila volontari

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Un Terzo Settore che rappresenta una vera e propria realtà economica e sociale, che conta 6.875 istituzioni che danno lavoro a 11.604 persone. Intervista a Giancarlo Billi, presidente Cesvol

di Francesco Castellini – L’Umbria è una terra generosa, dove impera una coscienza solidale e responsabile. Non a caso è tra le regioni in cui è più forte il settore del non profit. Una vera e propria realtà economica e sociale, che conta 6.875 istituzioni che danno lavoro a 11.604 persone.

Lo sancisce l’Istat con l’ultimo report su dati relativi riferito a questo vitale comparto.

La gran parte degli enti (5.657) sono associazioni, ma quelle che impiegano più persone sono le 245 cooperative sociali, con 8.371 dipendenti. Ci sono poi 124 fondazioni con 465 dipendenti e 849 con altre forme giuridiche con 1.052 occupati.

E a proposito di associazionismo solidale, i Cesvol hanno sviluppato un censimento da cui emerge come oltre il 10% degli umbri sia impegnato a vario titolo nel Terzo Settore. Si parla del ragguardevole numero di 80mila persone che dedicano parte del loro tempo a sostenere e aiutare il prossimo.

Risulta così che all’Albo Regionale del Volontariato e di Promozione Sociale, siano iscritte 1.026 associazioni.

Sono invece complessivamente 2.786, di cui 1.953 (71%) a Perugia e 833 (29%) a Terni, quelle che utilizzano a vario titolo i servizi e i supporti messi a disposizione per loro dal Centro Servizi Volontariato.

Giancarlo Billi
Giancarlo Billi

Giancarlo Billi, presidente del Cesvol Perugia, delinea il quadro della realtà attuale.

«Che dal punto di vista del sociale la situazione sia andata aggravandosi negli ultimi anni lo dimostra il fatto che sia aumentato in maniera esponenziale il numero delle associazioni di volontariato. A fronte della crisi economica, della precarietà e della incertezza che ne è derivata, dell’assenza di risposte alle proprie istanze, i cittadini hanno sentito il bisogno di unirsi, per affrontare problemi di ordine fisico, marginalità, disagio. Rispetto ad una politica che sul piano culturale ha fatto dei passi indietro, la gente ha risposto organizzandosi in proprio, portando avanti unita problematiche specifiche».

Come si pone il Cesvol di fronte a questa esplosione di “partecipazione”?

«Va subito detto che il Cesvol, nella sua azione di servizio verso le associazioni, e non nella funzione di rappresentanza che va invece svolta dal Forum del Terzo Settore, ha come obiettivo un passaggio importante: passare dall’“Io” al “Noi” associativo. Perché la creazione di tanti piccoli “orti” dà un’idea di coinvolgimento importante, ma non riesce a contribuire efficacemente alla costruzione di un progetto territoriale significativo».

Che fare?

«Serve una politica che ascolti e che agisca in fretta, ma anche un’azione mirata di forze intermedie che unite elaborino e costruiscano insieme una nuova idea di protagonismo sociale diffuso. Occorre operare in piena sinergia per elaborare una nuova idea di sviluppo di società. Ma per fare questo bisogna partire dalle conoscenze delle problematiche interne, essere conseguenti alle esigenze reali. Pensiamo alla disgregazione del nucleo familiare, prima vittima di una crisi culturale e di una recessione che non sembra avere fine. Con la conseguenza che il soggetto è sempre più solo. Quindi ben vanga l’operatore sociale di quartiere, ma a tutto ciò si deve affiancare una rete e una consapevolezza di carattere politico. Solo così, una volta superata la crisi potremmo poi ritrovarci a poter avere a disposizione degli strumenti idonei, che si potranno utilizzare anche nel prossimo futuro».

Che contributo può dare il Terzo Settore all’Economia che cambia?

«Il processo produttivo non può fare a meno di interfacciarsi con la cultura e le problematiche sociali del territorio in cui opera. La crisi economica e culturale che tutti siamo vivendo deve essere allora l’occasione di un confronto diretto e leale fra tutti gli attori che operano sul campo. E c’è molto da fare, insieme. Occorre definire e adottare nuove soluzioni. Bisogna lavorare per sviluppare una “cultura alta” che prendendo atto delle mutazioni avvenute sia in grado di ascoltare e rispondere alle istanze che vengono dal basso. E che ci siano dei vuoti da colmare è evidente. Penso alle sale parrocchiali, alle sezione dei partiti, alle Pro Loco. A quando c’erano le Circoscrizioni che davano la possibilità di stabilire un rapporto diretto con le istituzioni. In questo senso il Terzo Settore può dare un grosso aiuto al Sociale, ma anche all’Economia. Perché può contribuire fattivamente a spostare l’asse verso la centralità dell’uomo, per definire un’azione condivisa che parta dal rispetto e dalla dignità del soggetto. E dunque testimoniare e ricordare a tutti che la disperazione non contribuisce a costruire un futuro sostenibile per nessuno».

Dunque come far sì che si possa ripartire dal sociale e pensare ad una società migliore?

Risponde Salvatore Fabrizio, direttore del Cesvol Perugia.

«L’essere umano deve essere considerato un valore imprescindibile, fondamentale. Se si guarda all’altro con più attenzione, si cresce, si sta meglio tutti. Una comunità più giusta è più attenta al proprio simile. E quindi il contributo che può dare il sociale all’economia è quello di collaborare insieme fattivamente per costruire una società che non si fermi al semplice ottenimento del profitto, ma punti alla costruzione di una condizione economico-sociale ideale. L’uomo che si sente rispettato è un individuo in grado di dare molto di più, a se stesso, al mondo del lavoro, ma soprattutto ad una società che sente appartenergli. Si deve partire dalla “Impresa 4.0” per arrivare ad una “Società 4.0”, per superare le divaricazioni, le ingiustizie, le ipocrisie inutili che col tempo potrebbero diventare pericolose».

La soluzione dunque sta nel dialogo, nel confronto?

«Sì, ci dev’essere un interscambio fra le parti, sempre più diretto e costruttivo. Il Terzo Settore deve essere visto come una risorsa, perché in grado di individuare ed evidenziare le vere problematiche che affliggono l’animo umano. Oggi si parla di welfare aziendale, e va bene, ma questo non basta, non ci si può accontentare di servizi e benefit da concedere al lavoratore. Non può essere solo questo. La persona è il valore assoluto intorno al quale tutto deve girare e con la quale ci si deve rapportare. E dunque fra profit e no profit ci dev’essere un’interazione e una connessione continuativa, come del resto avviene già in alcuni Paesi evoluti, dove la “partecipazione” a costruire una realtà in continua evoluzione in pratica non finisce mai e coinvolge la metà della popolazione. Il volontariato è un modo efficace per mettere a disposizione della propria comunità le proprie risorse, la propria esperienza, ma anche per ricordare a tutti che solo con l’amore si può ottenere il meglio, da se stessi e dagli altri».