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Il riscatto della mutualità sociale e dell’impegno civile

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Il significato del Presepio in una società che privilegia l’effimero

di Adriano Marinensi

Negli anni che viviamo, il tema della transizione ecologica è imperante alla pari del quasi abusato sviluppo sostenibile: due obiettivi non più da discutere, quanto invece da costruire, per passare celermente dal dire al fare, per cambiare modelli di vita collettivi e individuali, radicati nella quotidianità. Sono traguardi difficili da raggiungere che richiedono uno sforzo corale ed il coinvolgimento d’ogni soggetto operante nel sociale, nell’economia, nella politica. E’ la transizione democratica, indispensabile per portare a termine il grande piano di riforme al quale sono condizionati i finanziamenti della U. E., l’ultima occasione per rimettere in sella il Paese.

Dobbiamo pensare in contemporanea a qualcosa di più avveniristico della tutela e del riordino ambientale. C’e da ridare movimento, a pieno regime, al motore della democrazia, che torni ad essere efficace sostegno di un governo veramente di popolo. Un popolo non marginalizzato alle occasioni elettorali, ma coinvolto nel processo amministrativo, per essere soggetto decisionale. Esiste una pluralità di valorida utilizzare come timone di guida e di orientamento, connessi con il modello che si realizza nella dottrina dei diritti e dei doveri, del protagonismo collettivo. Vuol dire il contrario di quanto rilevato nella recente consultazione elettorale. Dalle urne abbiamo udito un grido di dolore che ha testimoniato l’allontanamento, non soltanto del corpo elettorale, ma dei cittadini. E’ d’obbligo riconiugare democrazia e libertà: direi meglio, democrazia è libertà. Diversa però e di maggior valore rispetto a quella arbitrariamente invocata sulle piazze dai no vax e no green pass. Per non confondere l’oro con il princisbecco.

Ci troviamo purtroppo in un momento storico dove hanno finito per prevalere l’egocentrismo e l’egolatria, facendo retrocedere i principi di collaborazione e di collettività. Molta attenzione quindi va rivolta al recupero di modelli di esistenza unitaria, attraverso una azione di rilancio della vera politica. La lettura di quel voto storpio che ha contraddistinto le amministrative, rivela il pericolo di un forte distacco e disimpegno a livello generale che pone l’urgenza di soluzione di molti problemi, attraverso il ripristino del modello di corresponsabilità civile. Lungo la strada del rafforzamento della solidarietà, va riscoperto anche il fattore umano smarrito nel groviglio delle gigantesche urbanizzazioni e nel deserto di cemento armato.

Si sono allentati i vincoli derivanti dalle tradizioni comuni, dell’appartenenza ad un consorzio mutualistico, fatto di pluralità unite (non è un ossimoro),in parte disgregate da differenziazioni pseudo ideologiche, messe in circolazione dalle visioni anguste di taluni capi partito dall’indice ammonitore (leader è un po’ troppo), al solo scopo di difendere privilegi e nazionalismi fallaci. Queste discrasie vanno ricomposte; diversamente il vuoto anarcoide prevarrà sui contenuti della democrazia. E troverà sempre più spazi la società del malessere, intellettuale e morale. Una delle testimonianze la ritroviamo nell’aumento delle criticità provocate non soltanto dalla pandemia, evidenti anche nella nostra regione. Ha prodotto effetti negativi – come ha scritto Giacomo Porrazzini – la religione dell’Io che appare vincente sulla concezione del noi.

La delega di rappresentanza nelle Istituzioni (dal Parlamento ai Comuni) sta nel dettato costituzionale, però non può essere considerata una cessione di sovranità e quindi è d’obbligo riannodare il filo rosso tra eletti ed elettori. Spetta alle forze politiche riaprire il tracciato partecipativo con una sorta di transazione socio – culturale, in termini moderni e avanzati, riattivare il confronto, così da consentire la scelta delle esperienze, delle capacità, delle sensibilità maggiori e migliori per il governo degli Enti locali.

Troppi cittadini hanno perduto il senso di appartenenza mutualistica; troppi cittadini sfuggono al diritto – dovere della presenza attiva, sentendosi estranei all’iter gestionale delle comunità nelle quali vivono. Fors’anche perché sono chiuse le porte d’accesso ai centri di elaborazione. Proprio a Terni non è difficile trarre l’esempio di un fare amministrazione (e di un concetto di politica) lontano dal sentire dell’opinione pubblica, incastellati dentro le mura di Palazzo Spada (e delle sedi di partito), prigionieri di visioni programmatiche improntare al provincialismo delle piccole cose, miopi nei confronti delle esigenze di lungo periodo. Ne deriva l’ostracismo delle risorse intellettuali ed operative che, soprattutto il mondo dei giovani esprime. In loro è venuto meno persino l’istinto naturale alla contestazione. E lo stile mediocre ha addormentato la città.

Pensiero errante di fronte alla Capanna. Nell’età che mi vide giovinotto, due furono le principali mete della tradizione natalizia: Greccio, a due passi dal confine ternano, ed Assisi. Per soddisfare il desiderio della visita ai Presepi che, in Umbria e Sabina, mostrano tanti segni della Fede. In tempo di fanciullezza, grande era l’attesa per costruirlo in casa il Presepe. Nel vano di un piccolo camino, aperto soltanto nell’occasione, il muschio cercato nel bosco, le montagne di cartone, la neve con la farina usata e tratta dalla madia in cucina.

C’era rispetto per lo stigma lasciato da San Francesco a Greccio, quando “inventò” la Natività. Ne realizzò una rappresentazione scarna, ma di alto profilo umano: Sopra una pietra fece nascere il Figlio dell’Uomo e chiamò in preghiera i focolari semplici del borgo. Forse volle dare, con quella scarna effige, l’indicazione di una Chiesa che privilegia le cose della gente comune, lungo il percorso dell’Evangelizzazione. Lui, Francesco, il Profeta dei poveri, dall’Umbria lanciò al mondo il fraterno messaggio di pace, ancora ascoltato. A Greccio rese testimonianza del Bambino avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia, perché per Maria e Giuseppe non vi fu posto in albergo. Da Greccio e da Assisi in poi, è stata la lunga storia del Presepe. E la nostra terra, la patria di questa devozione, espressa in tanti luoghi, in tantissime forme, anche d’arte teneramente icastica.

Oggi che il Natale ha assunto l’aspetto di festa esteriore, di corsa al regalo, persino di “soccorso commerciale”, in Umbria, è intervenuta la gara all’albero di Natale più alto e delle luminarie più lucenti. Scusatemi, ma io sono rimasto al nostalgico Presepe, al suo significato francescano, ai suoi patetici personaggi, al bue, all’asinello, ai pastori. Agli zampognari d’Abruzzo. Ed alle musiche che diffondono soavità intorno alla Capanna. Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo …