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Resonanz di Amburgo suona per gli Amici della Musica

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Le Parole del Cristo crocefisso nella basilica di san Pietro a Perugia

di Stefano Ragni

Quando si entra nella basilica di san Pietro a Perugia, per una convocazione degli Amici della Musica, c’è sempre la certezza di un appuntamento con la bellezza, ma ieri sera, per la fortuita coincidenza con le celebrazioni del Perugino, si è avuta la consapevolezza della unicità di una emozione.

Ascoltare la musica di Haydn sotto l’immagine spettrale della Pietà appesa alla navata sinistra della basilica, con accanto il grandioso crocefisso dal capo insanguinato, è stata una occasione da condividere con i tanti che hanno gremito l’aula benedettina per ascoltare il complesso amburghese Resonanz ripercorrere le stazioni strumentali delle Sette parole di Cristo sulla croce, una pagina paraliturgica di rara esecuzione.

Soprattutto nella versione che hanno voluto darne i musicisti di questo splendido complesso che rispondeva al gesto elegante di Riccardo Minasi, direttore e violinista dalle rare capacità evocative. Non una frase delle piccole sinfonie che Haydn redasse in ben quattro versioni, dopo quella iniziale per l’aristocratico canonico della Confraternita della Santa Grotta d Cadice, è rimasta senza la sua sfumatura, non un accento non una legatura hanno rinunziato a una intensificazione del segno grafico per trasformarsi in respiro ed emozione. Con queste capacità esecutive dei musicisti e con la concertazione accuratissima di Minasi la partitura si apriva all’ascolto quasi con una evidenza visiva, rivelando una intelaiatura preziosissima, da gustare in ogni suo particolare. Poi, fin dall’inizio dalla esposizione del Maestoso introduttivo, quel rauco risuonare dei corni naturali, si è chiarito che, pur con devozione, Haydn intendeva far parlare la parte più solenne del “re dei re” crocefisso per la redenzione.

Di questo percorso tra fede e “stupore” avevano parlato un paio d’anni fa Massimo Cacciari e Riccardo Muti in un emblematico libricino del Mulino, con una copertina che riproduceva il Cristo del Masaccio. Parole che, ieri sera, abbiamo ascoltato in un’altra versione e in una dizione fervente dalla voce di un grande attore, Luciano Bertoli, immerso davanti all’altare maggiore, in una dolente concentrazione. Le parole erano quelle di una rarissimo poemetto inglese del decimo secolo, ma avrebbe potuto trattarsi anche di una “finzione” di Borges o di Umberto Eco, tanto moderna ne era la sensibilità. Era la voce dell’albero a parlare, legno reciso per doloroso scopo di morte a cui lo destinavano gli uomini del Calvario. E a ogni strofa succedeva la musica, così come prescritto dalla Liturgia delle Tre Ore. Musica redatta secondo la “teoria degli affetti” cara ai maestri del manierismo.

Oboi, fagotti e i citati corni a descrivere acusticamente le parole della Passione, dal “Padre perdona perché non sanno quello che fanno” al successivo “Oggi sarai con me in Paradiso”. Ma sempre con una distanza emotiva dalla reale drammaticità del sacrificio divino. Le regole dell’epoca dei Lumi prescrivevano una distaccata contemplazione del dolore, un fatto estetico che sembrava dimentico della reale presenza alla consumazione del dolore come era avvenuto nelle gigantesche Passioni bachiane. Eppure Haydn riesce a dipingere una tavolozza ricca di tinte emozionali.

All’accendersi del do minore strumentale infatti, come non pensare a Stracci, il ladrone pasoliniano de La ricotta, emblema di una umanità che può entrare anche inconsapevolmente nella dimensione del sacro. Difficile segnalare il momento più bello realizzato dai Resonanz: forse ci aiuta la partitura a individuarlo nelle seste dei corni del In manus tuas, mentre per Bertoli è stata la accensione improvvisa della jacoponica Donna de Paradiso, inopinatamente inserita in questa anodina Passione misteriosamente anglosassone. Filologia a parte, lo squarcio finale del terremoto conclusivo evocante la figura narrativa del vangelo di Matteo, ha concluso una serata di vera riflessione spirituale.