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Dopo l’assoluzione in penale neanche nessun danno erariale per le aziende di Angelucci

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Dopo l’assoluzione sotto il profilo penale del 2019 vengono respinte dalla Corte dei conti anche le accuse relative al danno erariale contro la Casa di Cura San Raffaele di Velletri che fa capo alla famiglia Angelucci.
A 11 anni dall’inizio del percorso giudiziario iniziato nel 2009 si chiude una vicenda spinosa.

L’assoluzione di due anni fa è arrivata con formula piena: “Il fatto non sussiste”. Questa la sentenza che scagionava nel 2019 Antonio Angelucci, il figlio Giampaolo e gli altri 13 imputati.

La decisione fu presa dai giudici della quarta sezione collegiale del tribunale penale di Roma, sul caso della presunta truffa ai danni del sistema sanitario dela Regione Lazio.

La vicenda risale al periodo che va dal 2004 al 2010: i pm di piazzale Clodio, che avevano sollecitato per gli Angelucci una condanna a 15 anni, contestavano una presunta truffa di circa 160 milioni di euro erogati dalla Ssl in favore di una clinica convenzionata di Velletri.

Adesso, a quella prima sentenza assolutoria emanata dai giudici del Tribunale penale di Roma, fa seguito quella della Corte dei Conti del Lazio che ha deciso – con sentenza 584/2021 passata in giudicato il 13 ottobre del 2021 – che le condotte in questione non hanno provocato “perdite” allo Stato.

Con la sentenza penale assolutoria la tesi che contestava il fatto che nella clinica di Velletri negli anni che vanno dal 2004 al 2010 si sarebbero eseguiti ricoveri fittizi per gonfiare gli utili ai danni del Servizio sanitario nazionale per circa 130 milioni di euro, è stata completamente smontata, venendo inoltre a rappresentare un fondamentale precedente per il successivo pronunciamento della Corte dei Conti che ha portato anche alla liberazione dei 126 milioni che erano stati bloccati, scagionando completamente anche i vertici della struttura sospettati di aver imposto “tempi celeri” per l’esecuzione delle cure. Come si legge nella sentenza: «Le dichiarazioni rese da numerosi testi consentono di affermare che non erano state emanate dagli organi di vertice della struttura San Raffaele di Velletri o comunque dagli imputati, direttive, istruzioni o anche solo suggerimenti affinché venissero praticate meno di tre ore di riabilitazione ai pazienti».

La sentenza penale evidenzia che «nel corso dell’istruttoria nessun testimone ha riferito di aver concordato con la struttura la predisposizione di false diagnosi con patologie compatibili con quelle che consentono i ricoveri in day hospital».

Caduta anche l’accusa di aver inserito diagnosi e cartelle cliniche fasulle nel sistema informatico. «Nel corso dell’istruttoria si legge ancora nella sentenza – non è stato acquisito alcun elemento per sostenere che gli imputati abbiano fornito indicazioni al personale che gestiva l’ufficio Sio (sistema informativo Ospedaliero) di modificare le diagnosi delle patologie dei pazienti e le terapie erogate agli stessi…» o «abbiano richiesto ai medici chiamati a gestire i pazienti e a redigere le cartelle cliniche di falsare i dati dei pazienti al momento del loro inserimento nel sistema informatico». E ancor di più «non sono emersi neanche elementi tali da far ritenere che le prestazioni fatturate dalla San Raffaele non siano state poi effettivamente erogate».

Per quanto riguarda il presunto danno erariale da 130 milioni la Corte dei Conti non ha condiviso la ricostruzione degli inquirenti per individuare e quantificare il danno erariale addebitato alla casa di cura che ha costituito presupposto per il mantenimento per anni del sequestro conservativo di 126 milioni senza però distinguere tra le presunte prestazioni irregolari e quelle corrette.

«Il quantum coincide con il complessivo fatturato delle prestazioni effettuate dalla casa di cura nel periodo in questione, senza alcuna indicazione del presunto danno specifico conseguente dai singoli comportamenti ritenuti dannosi».

La Casa di Cura San Raffaele di Velletri, che ha rappresentato un punto di riferimento importante per tutto il territorio, è rimasta chiusa ormai da 11 anni e una sua riapertura, alla luce delle ultime sentenze assolutorie, sarebbe da ritenersi pertanto un atto dovuto.

A fronte di tutto questo “quotidianodellumbria.it” coglie l’occasione per scursarsi con i propri lettori e con il diretto interessato, per l’errore commesso nell’aprile scorso, quando su questa testata venne pubblicato un servizio giornalistico avente per oggetto l’editore Angelucci, che dava per attuali fatti che invece risalivano a tempo addietro.

Uno sbaglio dettato da una fatale distrazione di chi ha messo in rete l’articolo e non certo dalla volontà del redattore, del direttore e dell’editore, che anzi da sempre riconoscono nell’imprenditore e politico Antonio Angelucci una figura di spicco nell’imprenditoria italiana, come perealtro gli ultimi fatti dimostrano ancora una volta.
   Luigi Piccolo