Home Opinioni L’insostenibile pesantezza del rumore, invece dovremmo ricordarci che il “silenzio è d’oro”

L’insostenibile pesantezza del rumore, invece dovremmo ricordarci che il “silenzio è d’oro”

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È auspicabile l’ora del “parlar piano” a scuola, oppure la “tassa sulla parola”

di Adriano Marinensi

Ho già smentito la diceria secondo la quale, la tarda età ti fa diventare intollerante ai rumori. Almeno non è il mio caso. Ero insofferente al chiasso sin dal lontano tempo di gioventù.
Vivo in una città, Terni, che Gabriele D’Annunzio non si sarebbe mai neppure sognato di mettere – insieme a Ferrara, Pisa e Ravenna – tra quelle (allora, si capisce) votate alla quiete.
Secondo il Vate d’Abruzzo occorre dar merito anche al silenzio delle opere d’arte, dei monumenti, della bellezza urbana, alla disponibilità tacita di una storia lontana che si esprime senza parole e si mostra con il linguaggio della cultura, dei pacifici chiostri, del vivere nel tempo della riflessione. 

Ecco, appunto, occorre silenzio per meditare, mentre il rumore fa il pensiero ingarbugliato.

Quindi, privilegiare la “taciturnità” non significa idealizzare il silenzio. Vuol dire invece smentire il falso concetto del sonoro, identità peculiare di tutto quanto è moderno. E televisivo (scusate l’inciso).

C’è stato un tempo – gli anni ’60 del ’900 – quando furono in voga, ai microfoni Rai, i cantanti urlatori, voce spiegata e ritmo travolgente (per esempio, Joe Sentieri, Tony Dallara, Richy Gianco).
Oggi, alla Tv di Stato, urlano tutti, spesso contornati egregiamente da una baraonda di note ed effetti speciali.

Perché gustare il silenzio
Mi è capitato più volte di scrivere facendo l’elogio del silenzio (anche senza solitudine) e non avevo alcuna intenzione di farla più lunga. Il 27 luglio scorso, ho avuto il piacere di leggere una argomentazione di Enzo Bianchi, il monaco laico, fondatore della Comunità di Bose, in Piemonte. Il titolo è eloquente: “Gustare il silenzio”.
Nella logica di base, mi è parso avesse talune somiglianze con una mia nota, pubblicata tanti anni orsono (1987), che sottolineava il silenzio non è più una virtù.

In questi nostri decenni sonori, si preferisce il clamore, la musica strepitosa, il piccolo schermo che buca le pareti domestiche, il cane latrante, lo sbattere della porta accanto, il pianista dilettante del piano sottostante, lo scoppio indiscriminato del motore, d’ogni motore.

A Terni regna, da più di un secolo, il rumore siderurgico.
Da quando (fine ’800) lo strepito era assiduo compagno di lavoro del metalmeccanico.
Con gli operai, migliaia di operai, che si facevano vecchi (e sordi) in un ambiente ruvido di polveri e di fragore, che affievolisce la sensibilità.
Il baccano influisce anche sulla cultura civica. Perfino sui costumi sociali, creando disabitudine al silenzio o, quanto meno, marginalizzando il problema del rumore troppo intenso nel clima frenetico dei nostri ambienti di vita.

La Tv produce parole in quantità spesso sgradevole
Sostiene, a ragione, il Monaco di Bose, la necessità di “ricerca di tempi e luoghi silenziosi … per liberarci dalle troppe parole che riempiono abitualmente le nostre giornate”.
Il pensiero allora mi è tornato alla Tv che di parole ne produce in quantità incalcolabile, spesso un parolaio sull’altro, durante le statiche e sempre uguali trasmissioni cosiddette d’intrattenimento e dibattito – Bianchi cita il saggio cinese che avverte: “Chi è sapiente sa quel che dice, chi è stupido dice quello che crede di sapere”.
“La parola – aggiunge – deve sgorgare da un silenzio che la pensa e la consegna ad altri”.

Siccome il suo scritto lo ha firmato in periodo di vacanze, c’è un riferimento alla mattina (e alla marina) “quando si cammina sulla riva del mare, prima che sia affollata di bagnanti, oppure si trova un sentiero in montagna, oppure, di sera, al tramonto, quando si cercano luoghi silenziosi dai quali guardare il sole al declino”. Sono immagini di vita antagoniste rispetto a quel che offre la città di giorno e ti penetra in casa di notte.

Sino a farti anelare il silenzio secondo natura
Sosteneva Aristotele: “Gli uomini si radunano nelle città per vivere la buona vita”.
Forse, dalle sue parti, dalle nostre no. Oggi, spesso non bastano i sonniferi per combattere e vincere la movida scortese.

Il silenzio per “inventare” le idee
Ascoltare il silenzio è nell’istinto di chi solitamente si affida all’attenzione per costruire le idee. E “permette, il silenzio – afferma Bianchi – alle idee che si celano nel profondo, di emergere e prendere corpo. Purtroppo, in molti abbiamo paura del silenzio, preferiamo il rumore”.
Nel tempo trapassato remoto, ad inquinare il silenzio potevano essere il muggito degli armenti, il percuotere del boscaiolo, il rintocco dei sacri bronzi. Ma non c’è bisogno neppure di riandare all’antico.

Ho ricordato, nella mia modesta nota di 26 anni orsono, il profumo di tranquillità che c’era nell’aria di campagna dove abitai fanciullo. Senza arrivare alla solitudine del pastore all’alpeggio. Nella quiete agreste, a Natale, s’udiva il melodiare degli zampognari (Tu scendi dalle stelle, o Re del cielo…). E, ogni giorno, il richiamo garbato della venditrice di giornali a domicilio. In autunno, il belare della transumanza e – così, in San Martino, Carducci – “per le vie del borgo, dal ribollir dei tini, va (andava) l’aspro odor dei vini gli animi a rallegrar”.
Oltre l’armonia del torchio che pressava le vinacce: Tic – tac, tic – tac, a scandire le opere in cantina.

Nell’attuale diavolio urbano, preferisce la gazzarra il motociclista con lo scappamento esagerato, pratica il disturbo per insolenza il nottambulo zotico, ti affligge l’esercente del supermercato, il quale propina alla clientela, la musica obbligatoria che diventa fastidio, alquanto molesto.

Pensiero impossibile

Ecco allora, due chimeriche proposte: 1) istituire nelle scuole l’insegnamento del parlare piano, l’ora del far silenzio, materia (d’esame) che sollecita ad abbassare i toni, come invitano ipocritamente taluni politici; 2) Istituire, con legge statale, la tassa sulla parola da prelevare dalle tasche dei logorroici, onde frenarne la loquacità inutile. Lasciando intatta la libertà di parola. Due provvedimenti che, ritengo, abbiano valore di civiltà. Pur se irrealizzabili. Dunque, oggi, il silenzio non è più una virtù e invece sarebbe cosa buona e giusta gustare il silenzio. Amen.