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Izzo Angelo di nome che si fece demone anche a Ferrazzano, trenta anni dopo aggiunse altri feroci delitti agli orrori del Circeo

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Angelo Izzo

Sadismo e disprezzo di qualsiasi valore paiono essere connaturati nel suo pensiero distorto di individuo irrecuperabile

di Adriano Marinensi

Ho già scritto, di recente, del cosiddetto massacro del Circeo e dei tre aguzzini che lo portarono a termine: Angelo Izzo, Andrea Ghira e Gianni Guido. Alcune sere fa, mi è capitato di intercettare, nel mio traffico abituale con il telecomando, una trasmissione televisiva, quasi un documento giudiziario, che mostrava Angelo Izzo dinnanzi alla Corte d’Assise, nel processo a suo carico per gli ulteriori omicidi commessi a Ferrazzano, in provincia di Campobasso. Condannato all’ergastolo per la prima scellerata impresa – il Circeo, 28 settembre 1975 – a danno di Rosaria Lopez (uccisa) e Donatella Colasanti (sopravvissuta per miracolo), trenta anni dopo, interamente trascorsi in prigione, si trovava in semilibertà per lavorare in una cooperativa.
Inspiegabilmente in quanto la condotta da recluso non era stata esemplare, a causa del suo carattere selvaggio. Anzi, al contrario. Aveva tentato di evadere un paio di volte e, nell’occasione di un permesso, era fuggito in Francia dove fu di nuovo arrestato. Quindi quella condizione di libera uscita, concessagli, nel dicembre 2004, dai Magistrati, sollevò un mare di polemiche. Si ipotizzarono persino retroscena legati alla sua giovanile militanza nei movimenti di estrema destra.
Aveva fatto amicizia, in carcere, con un tale Giovanni Maiorano, detenuto pentito ex affiliato alla Sacra corona unita. Izzo era riuscito a circuirlo, tanto che il Maiorano gli chiese un occhio di riguardo, durante i periodi di libertà, verso le due donne che aveva lasciato a casa: la moglie Maria Carmela e la figlia Valentina. L’orco le prese sotto la sua tutela, promettendo loro una vita meno grama e il solito avvenire radioso. Promesse che ovviamente tali rimasero. Disse Izzo al processo che, per tali pretese, le due disgraziate erano diventate “appiccicaticce e noiose”.
E lui, nella sua mente perversa, prese questo disturbo come valido movente per eliminare entrambe. Racconta quindi in Aula che il 28 aprile del 2005, si trovava a Ferrazzano, grazie a quella “libera uscita” per lavoro. S’era procurato un collaboratore sempliciotto, Luca Palaia, al quale diede l’incarico di acquistare un rotolo di nastro adesivo e due lacci emostatici.
Aiutato da un gesticolare istrionico mezzo allucinato e roteando gli occhi ferini, Izzo ha continuato la narrazione ai Giudici: “Sono andato insieme a Palaia, in casa delle due donne, le ho rinchiuse in stanze separate. Poi, distesa a terra la madre, l’ho impacchettata con il nastro adesivo, compresa la bocca e gli occhi, le mani ammanettate, i piedi serrati. Mi sono seduto sopra e l’ho strangolata con il laccio emostatico”.
Metà del lavoro quindi era stato compiuto. L’altro laccio Io ha usato per strozzare la ragazzina di 14 anni. Prosegue Izzo, sempre in Tribunale, con la sua retorica colorita e allucinata, occorreva disfarsi dei due cadaveri. C’era, nel retro della casa degli orrori, un giardino. Luca Palaia scavò una buca dove vennero sepolti i cadaveri, sommariamente ricoperti con alcune palate di terra”. Tutto vero e platealmente sottolineato con cura dall’imputato e in quel sacello improvvisato si indirizzò la polizia, per il ritrovamento del macabro contenuto.
Seguendo il programma TV, tutto ambientato in aula e sulla deposizione – spettacolo dell’uomo nero, mi è parso di cogliere nell’uditorio un palese sentimento di sconcerto, quasi di incredulità. Si stavano trovando di fronte ad un essere umano oppure ad una bestia senz’anima? Comunque una esibizione da palcoscenico, con Izzo mattatore di una recitazione, oltre il limite del granguignolesco. Senza neppure un valido movente, il boia del Circeo, aveva aggiunto al suo curriculum criminale altri due barbari femminicidi. Il male assoluto, fino a scendere all’inferno. E sulla tragedia, il sipario. Angelo Izzo viene condannato al secondo ergastolo.
In uno dei deliranti memoriali scritti in stato di reclusione, si legge: “Se mi guardo indietro vedo solo una sequela di reati e violenze. Ma questa è stata la mia vita. Non mi piace l’idea della vita borghese alla quale ero destinato. Quindi, va bene così”. Sadismo e disprezzo di qualsiasi valore paiono essere connaturati nel suo pensiero distorto di individuo irrecuperabile, uno psicopatico con inclinazioni perverse e pericolose, meritevoli di una esclusione sociale fine pena mai.
L’esposizione fatta in Tribunale rimane un caso unico. Chissà se nell’esternazione senza reticenza vi fosse l’intento di dimostrare la completa infermità mentale, l’unica via praticabile per una arringa di difesa, seppure senza possibili pretese. Oggi l’uomo nero ha 67 anni e continua a pagare il debito mostruoso contratto con la società. Quella civile, non la sua.

Primo pensiero impavido di livello locale. A Terni, sino all’altro giorno, avevamo un’aria da respirare piena zeppa di additivi insalubri. Ora la novella tanto attesa è arrivata dall’ARPA, L’Agenzia umbra di tutela ambientale: Abemus ozono! Ci mancava proprio. Sì, avevamo le polveri sottili, il monossido di carbonio, i metalli pesanti ed altri intrugli di varia maleficità. Ora siamo al completo. Dell’ozono, ecco la definizione: Si tratta di un gas, che qualora presente oltre i livelli consentiti, causa effetti irritativi alle mucose oculari ed alle vie aeree, con tosse, fenomeni bronco ostruttivi ed alterazione della funzionalità respiratoria. Allora, lo vogliamo mettere, agli ingressi della città, il cartello più volte da me proposto? Simile a quello che si legge per i cani sui cancelli delle ville: Attenti all’aria, non mozzica, però nuoce alla salute. Per onestà di coscienza e correttezza verso i forestieri.
Secondo pensiero ruvido. Ho letto un’altra notizia riferita al clima di esigua sensibilità che, da alcuni mesi, regna nel Consiglio comunale di Terni. Riferiscono ci sia stato un diverbio poco elegante e decoroso (non è il primo) tra rappresentanti del governo locale e di parte dell’opposizione. Mi ha colpito una scena. Ad un certo punto del vivace confronto, pare che il Primo cittadino si sia rivolto al Presidente dell’Assemblea, additando un Consigliere contestatore che s’era alzato in piedi: Faccia sedere questo c…ne. Di fascisti del territorio si è parlato su La 7 a commento di immagini quanto meno oscene, però realmente accadute. Per quanto aggiunto dopo nella rissa consiliare (il Signor Sindaco lo hanno dovuto trattenere in quattro), l’impressione è che, da qualche parte, a Palazzo Spada, manchi il trattato sulle buone maniere di messer Giovanni Della Casa. Il cronista, ha concluso: “Scene pessime per la città”. Io penso anche per la tradizione culturale e democratica dell’Istituzione. Popolo ternano, svegliati!