Home Opinioni Il coronavirus, gli eurobond e le certezze che non ci sono

Il coronavirus, gli eurobond e le certezze che non ci sono

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Sarà strategico il video summit del 23 aprile

di AMAR – Una nota succinta per evidenziare, in primis, un evento in programma il 23 aprile che vedrà riunito il video summit ove saranno rappresentati i Paesi europei, per dare la risposta ad un interrogativo di straordinario rilievo: Come reperire le risorse finanziarie per riparare l’enorme danno provocato dal flagello epidemico nei Paesi della U.E. E’ il problema che sta all’ordine del giorno ed, ancor più, alla base dell’azione di sostegno comunitaria che dovrà riavviare la ripresa. C’è un documento che non trova consenso inanime. Anzi registra due schieramenti: da un lato Francia, Italia e Spagna, dall’altro Germania, Austria, Olanda e i Paesi del nord (non favorevoli). Occorre trovare una intesa positiva, altrimenti potrebbe iniziare il declino dell’Unione.

In mezzo sta il progetto proposto dalla Presidente Ursula van der Leyen, supportata da Cristine Lagard che guida la BCE e Charles Michel al vertice del Consiglio europeo. Si tratta di emettere bond europei – garantiti con la tripla A della Commissione – per fornire aiuti ai Paesi maggiormente colpiti, parte a fondo perduto, parte sotto forma di prestito a lunga scadenza. Obiettivo: Raccogliere almeno 1000 miliardi da aggiungere ai 500 già disponibili e formare un consistente fondo di mutuo soccorso. Al di fuori dei nazionalismi retrogradi, altra via non c’è.

In Germania, l’operazione sembra avere un alleato ragguardevole, il management del colosso Volkswagen (800.000 lavoratori) che ha molta fretta di ripartire. Ed è Italia (e Spagna) dipendente per un rilevante indotto. Ha dichiarato, di recente, l’a. d. “senza quelle forniture, la Germania non può costruire automobili.” Da fonti sindacali è venuta la conferma che “la stabilità dell’indotto italiano è determinante per la piena attività produttiva dell’auto in Germania.” Di qui forse l’interesse a trovare capitali comunitari per consentire la rapida ripresa delle nostre produzioni di settore.. D’altro canto, si sa che l’Europa è entità geografica ed economica senza barriere e necessita di tutele coordinate del suo patrimonio aziendale e di lavoro, basilare garanzia di ripresa e sviluppo dopo la catastrofe umana, finanziaria e sociale del corona virus.

Nel nostro Paese, la grande crisi continua ad essere gestita a più voci, sia dalla politica e purtroppo anche dalla scienza. Fatto salvo l’eroico settore sanitario, che nella lotta ha lasciato sul terreno un numero rilevante di caduti. Al presente, il vaccino non è ancora all’orizzonte, l’epidemia continua a mietere vittime, purtroppo a tre cifre, si va avanti aggrappati alle speranze alimentate dalla “curva discendente”. Nel frattempo, abbiamo inflazionato il “mercato normativo” con una pletora di disposizioni, alcune delle quali inosservabili. La popolazione comincia a soffrire di claustrofobia, con qualche mugugno sociale e qualche trasgressione di troppo. Le Istituzioni regionali non stanno dando un buon spettacolo, sconfinato nell’arcaico dualismo nord – sud e tra chi si arroga il diritto (incostituzionale) di chiudere i propri confini agli “immigrati” da altre Regioni (quasi fossimo nel Regno delle Due Sicilie). Il panorama delle forze in campo si presenta guidato da molti “generali”. Così, la cosiddetta e tanto auspicata “fase 2” rischia di avviarsi con minore programmazione, coordinamento ed efficacia del dovuto.

Anche se il 25 prossimo non sarà festa di popolo come sempre è stato, va rammentato che il mese di aprile del 1945 sta nella storia italiana moderna con un triplice significato: la definitiva sconfitta del fascismo, la resa delle truppe naziste d’occupazione, la riconquista del sistema democratico. Muoiono, ad aprile di quell’anno, Mussolini, fucilato a Dongo ed Hitler suicida a Berlino. Il 25 aprile è una data simbolica, in quanto segna la liberazione di Milano, ma è stata assunta, sin da 75 anni fa, come alto momento della memoria. Era finita un’epoca (5 lunghi anni di distruzione e morte sono un’epoca) di sconvolgimenti umani e d’ogni tipo e occorreva tornare ad assaporare la pace e la libertà. Giusto quindi fissare un giorno dell’anno per solennizzare quell’inizio di vita nuova. Quest’anno altra guerra c’è da vincere. Prevarrà il silenzio, però il ricordo deve restare.

Una nota lieta, fatemela segnalare, l’ha suonata il ritorno delle rondini, seppure in ritardo rispetto all’adagio che vuole “per S. Benedetto, ogni rondine sotto il tetto.” Sono tornate ad annunciare la più amorevole stagione dell’anno, però a ranghi apparentemente ridotti rispetto a qualche decennio fa, quando la grondaia della mia vecchia casa di periferia – al pari dei tanti casolari di campagna – si riempiva di nidi cinguettanti. Il timore è che i moderni luoghi di vita, appesantiti dal cemento armato e da atmosfere sempre meno impregnate d’aria di primavera, non siano più confacenti alla garrula natura dei simpatici volatili. Se così fosse, lo dovremmo prendere come un serio avvertimento.