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Scienziati italiani i più quotati nel mondo Bill Gates disposto a finanziare il vaccino

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Fra gli studiosi ci sono anche i ricercatori della Università di Perugia che stanno mettendo a punto una cura basata su un procedimento molecolare. Alcune dosi disponibili a settembre

di Francesco Pastorelli – Gli scienziati italiani in prima linea nella globale battaglia contro il Coronavirus. Già dal 2 febbraio, dopo appena 48 ore dal ricovero di due cinesi infetti, tre ricercatrici dello Spallanzani di Roma ottennero uno straordinario risultato. Furono le prime in Europa ad isolare il virus killer.

Onore al merito alle dottoresse Maria Rosaria Capobianchi, Concetta Castilletti e Francesca Colavita dell’Inmi (Istituto Nazionale per le Malattie Infettive).

E adesso, che tutta la comunità scientifica internazionale è impegnata nella ricerca di soluzioni efficaci, ancora una volta l’Italia si distingue nel mondo.

Basti dire che su cinquanta vaccini in corsa come candidati alla prevenzione della malattia da Coronavirus, uno dei più lanciati sembra essere quello studiato in un laboratorio di Pomezia, piccolo centro in provincia di Latina. Qui, l’azienda italiana Advent-Irbm e lo Jenner Istitute della Oxford University, centro di ricerca ai primissimi posti a livello mondiale, hanno annunciato che a breve in Inghilterra cominceranno i test clinici su 550 volontari sani.

E se i risultati saranno incoraggianti ci penserà la Fondazione Bill and Melinda Gates a finanziare il progetto; affinché, come ha assicurato lo stesso miliardario e filantropo, sia possibile produrlo in larga scala, facendo in modo di coprire le necessità del mondo intero.

Il magnate fondatore di Microsoft ha infatti detto di essere in contatto con tutti i programmi più innovativi, a cominciare da quello a cui si lavora nell’università di Oxford, con la partecipazione di un’azienda italiana. «Se funziona, io ed altri in un consorzio faremo in modo che ci sarà una produzione massiccia», ha assicurato, intervistato dal Times.

Comunque sia Gates si aspetta che il Coronavirus Global Response Summit possa raccogliere, tra governi e organizzazioni, più di 6,5 miliardi di dollari per la ricerca, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione del vaccino. «Quella in corso – sintetizza – è come una guerra mondiale, tranne che per il fatto che stiamo tutti dalla stessa parte».

E dunque, come ha affermato Piero Di Lorenzo, amministratore delegato di Irbm, alcune dosi potranno essere disponibili già a settembre in uso compassionevole, vale a dire prima delle autorizzazioni delle agenzie del farmaco, procedura che scatta in situazioni di emergenza, quando c’è l’evidenza che un farmaco può funzionare, non è dannoso e mancano strumenti terapeutici e di profilassi per cercare di intervenire sull’epidemia non altrimenti contenibile.

Il primo impiego al di fuori dei test riguarderà il personale sanitario e le forze dell’ordine, poi l’eventuale allargamento sulla base di risposte certe e il via libera degli enti regolatori. E se è vero che il mondo della scienza mette in guardia contro i facili entusiasmi, è anche vero che per quanto riguarda la ricerca italiana le premesse di credibilità e serietà ci sono tutte.

Giovanni Rezza, direttore Centro malattie infettive all’Istituto superiore di sanità si è sbilanciato nell’annunciare: «C’è una grande accelerazione della ricerca, le agenzie regolatorie sono più generose nel dare le autorizzazioni. Il vantaggio del progetto di Pomezia è di poter sfruttare una piattaforma già utilizzata per il vaccino anti-Ebola (poi prodotto da Merck Sharp & Dohme). È un candidato promettente come altri in sperimentazione».

Intanto, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato un’iniziativa planetaria per sconfiggere la pandemia di Covid-19 e garantire a tutti i popoli l’accesso alle cure, oltre che al vaccino. Questa è “la lotta della vita”, ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres che ha ricordato come la pandemia riguardi tutti e sarà finita solo quando verrà sconfitta in tutti i Paesi. Servono, ha detto Guterres, “un vaccino e un trattamento convenienti, sicuri, efficaci, facilmente somministrabili e universalmente disponibili per tutti, ovunque”.

E a proposito di cure, in pole position si trova ancora una volta un team di ricerca italiano, quello guidato da scienziati della Sibylla Biotech di Verona, una società di biotecnologie spin-off dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) e delle Università di Trento e Perugia. Tra gli istituti coinvolti il Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata (Cibio) e il Dulbecco Telethon dell’ateneo trentino e il Dipartimento di Scienze Farmaceutiche di quello umbro.

A loro si deve l’identificazione di 35 promettenti molecole che potrebbero diventare farmaci efficaci nel contrasto alla Covid-19. Le molecole sono state selezionate da un campione di ben 9mila tra farmaci già disponibili in commercio o attualmente in fase di sperimentazione.

Una volta identificati i due bersagli molecolari, gli scienziati hanno “dato in pasto” a 30mila unità di calcolo i dati di 9mila farmaci, avviando simulazioni al fine di individuare le molecole in grado di colpire il legame tra recettore Ace2 e proteina del coronavirus. Più nello specifico, gli scienziati hanno puntato al cosiddetto “folding” o ripiegamento delle proteine, il processo con cui le proteine ottengono la propria struttura all’interno delle cellule. Se si colpisce il recettore impedendo che generi le “porte di ingresso” al coronavirus, si può di fatto evitare che si determini l’infezione. Come indicato, sono state identificate ben 35 molecole in grado di “colpire” questo meccanismo, fra le quali figura anche la meflochina, un derivato della chinolina che fa parte degli agenti antimalarici alla stregua della clorochina e dell’idrossiclorochina, farmaci già noti per avere questo effetto sull’Ace2. “I risultati oggi non sono ancora definitivi, ma avremo presto una risposta dal laboratorio con cui confrontarci. Le informazioni che otteniamo sono liberamente al servizio della comunità. Chiunque può utilizzarle per cercare una cura. Noi intanto continuiamo a portare avanti la ricerca fin dove possiamo spingerci con i nostri mezzi”, ha dichiarato la dottoressa Pieri, che ha ringraziato l’Infn per aver messo a disposizione i propri potenti computer, necessari per i complessi calcoli della ricerca. I dettagli dello studio preliminare, non ancora sottoposto a revisione paritaria, sono stati caricati nel database online ArXiv, in attesa della pubblicazione su una rivista scientifica.