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“Ombre inquietanti sul Piano sanitario regionale”

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Associazione Socialismo XXI-Umbria analizza il Psr e ne sottolinea le criticità

La nostra accurata valutazione del Piano Sanitario Regionale ha messo in evidenza qualche spiraglio di luce, ma anche molte inquietanti ombre sul contenuto del documento che abbiamo esaminato. Alcuni passaggi salienti, relativi alla necessaria rivisitazione dell’organizzazione ospedaliera, spiccano per la loro banale genericità. La cronologia e le modalità di confronto con tutti i portatori di interesse restano nebulose nella tempistica e per le modalità di realizzazione.

Entrando nel merito e per onestà intellettuale ci sembra opportuno non sottacere quelli che a nostro giudizio, in nuce, risultano punti di innovazione e di miglioramento della situazione attuale.

Le problematiche relative ai processi di informatizzazione sono ben descritte; sarebbe stato opportuno presentare la volontà di centralizzare e razionalizzare l’intero sistema come il fulcro attorno al quale far ruotare gran parte delle considerazioni successive del PSR: telemedicina, medicina di iniziativa, disponibilità in tempo reale di referti e cartelle cliniche. In effetti la frammentazione dei sistemi informativi e spesso la loro “incomunicabilità” complicano sia la vita degli operatori che quella dei cittadini. La parcellizzazione dei sistemi informatici, ovviamente, moltiplica i costi di acquisto e di gestione degli stessi. Il progetto di revisione di questo settore è ampiamente condivisibile ma risulta debole per la soluzione proposta; troppi i soggetti di riferimento che dovrebbero coordinarsi, senza indicazione di alcuna gerarchia organizzativa. La buona intuizione iniziale rischia di impantanarsi per la mancanza di una visione coordinata e complessiva, nonché dagli interessi particolari dei partner coinvolti. Spicca la mancata previsione di una figura centrale e terza, rispetto alle aziende già in campo, con il ruolo di “progettista” dell’intero sistema; figura che risponda complessivamente del progetto di reengineering, dei tempi di realizzazione e ovviamente dei risultati attesi.

La proposta di un Centro Unico di Formazione e Valorizzazione delle Risorse Umane, risulta una buona soluzione per rendere il settore più dinamico, potenzialmente in grado di rendere le singole aziende meno autoreferenziali consentendo, inoltre, una razionalizzazione della spesa. Entrando nel merito sarebbe stato utile introdurre un fattore innovativo quale l’individuazione di un budget virtuale per ogni operatore al fine di riservare una percentuale di risorse alla formazione generica e trasversale, ma garantendo un fondo certo e verificabile, riservato a quelle specificità professionali per le quali sia indispensabile confrontarsi con le esperienze di centri di altre regioni.

La parte relativa al rafforzamento della medicina del territorio, dei servizi di prevenzione e promozione della salute è in linea con gli indirizzi nazionali. L’analisi demografica, epidemiologica e gli aspetti economico finanziari sono ben descritti. A tal proposito un passaggio importante è il riferimento agli infortuni sul lavoro che vede l’Umbria al 3° posto come una delle regioni con indice più alto anche se per la gravità degli esiti è 12° in graduatoria nazionale; tuttavia, anche in questo caso, non sono evidenziate proposte di prevenzione del fenomeno.

Superare il concetto di medicina in attesa del cittadino verso un modello di medicina che va incontro è un ottimo proposito, il cui buon esito è imprescindibile dallo sviluppo di un sistema informativo che sia ottimamente progettato. Il disegno appare molto complesso e sufficientemente articolato ma necessità di importanti investimenti dal punto di vista del personale.

Come per il punto precedente l’attenzione alle cure palliative e terapia del dolore, non solo a carattere oncologico, sono un buon proposito e sicuramente strategico per una migliore gestione dei posti letto ospedalieri. E’ indubbio che la complessità del paziente in fine vita, in quasi tutti i casi, difficilmente può essere gestita esclusivamente in ambito familiare e/o con pochi minuti di presenza medico/infermieristica di supporto. Le risorse necessarie in tal senso debbano essere cospicue, altrimenti costi sociali e psicologici continueranno a ricadere sulle famiglie.

Si coglie anche l’attenzione verso il superamento delle disuguaglianze sociali nell’accesso alle cure, in particolare per l’analisi e le proposte relative al ruolo del MMG , del PLS e all’introduzione della figura dell’infermiere di comunità. In tal senso si propone la riorganizzazione dei Distretti che saranno ridotti da 12 a 5, si giustifica tale riduzione con “… un’attenta analisi degli indici demografici di ogni territorio, delle loro caratteristiche morfologiche ed orografiche, tenendo conto della capillarità delle vie di comunicazione della presenza di strutture di assistenza sia primaria che ospedaliera. …”. Orbene a giustificare tale scelta viene posta una citazione di fonte AGENAS relativa all’organizzazione di un Distretto tipo di 100.000 abitanti di un’area urbana. Il contenuto appare formalmente corretto in termini organizzativi, i nuovi Distretti rispondono ai criteri del numero di abitanti (tutti superiori ed anche largamente, ai 100.000) ma con densità abitative, per alcuni territori, di 71 abitanti/Kmq. Ciò significa, per il Distretto AUSL nord-ovest, un estensione di 98 km da San Giustino a Città della Pieve, distanza che richiede almeno 1 ora e 30 di percorrenza su viabilità ordinaria di scarsa qualità e senza alcun servizio pubblico. Il parametro dei 100.000 abitanti, accettabile in un contesto urbano, appare inappropriato se non addirittura ridicolo, nel contesto umbro. Tali perverse distorsioni colpiscono anche la zona sud della Regione con il territorio di Orvieto che farebbe riferimento a Terni e ancor peggio per Cascia e Norcia che dovrebbero far riferimento a Foligno. Quale tipo di semplificazione per il cittadino e quale tipo di vantaggio organizzativo possa derivarne sembra arduo immaginarlo; appare molto come un esercizio di immagine piuttosto che una significativa razionalizzazione. La semplificazione delle attività territoriali attraverso la riduzione dei distretti potrebbe essere accettata ma senza prescindere dalla conservazione delle identità culturali e logistiche che caratterizzano la nostra Regione. Volendo mantenere la corrispondenza dei territori comunali con quella dei distretti la riduzione da 12 a 8 o 9 Distretti sarebbe sicuramente la scelta più adeguata.

L’introduzione del Coordinatore di Distretto, nelle intenzioni, dovrebbe garantire parità di trattamento, disponibilità dei servizi, prestazioni e percorsi di cura, in realtà risulta incomprensibile come la centralizzazione di attività prettamente burocratiche (autorizzative?) attraverso una Centrale Operativa unica territoriale di scala regionale che scavalca il Distretto possa semplificare il sistema. La logica di sistema della sanità territoriale è quella di garantire un valido zoccolo di equiesaustività, non ha alcun senso l’hub&spoke. A livello regionale serve, semmai, implementare un adeguato sistema di reporting. Di nuovo tante buone intenzioni ma anche in questo caso non si entra nel merito. Non si affronta il problema delle liste di attesa, non si chiarisce se le strategie di prenotazione del CUP continueranno con le attuali modalità con le prenotazioni su base regionale o su prenotazioni che privilegino la residenza del cittadino nel proprio territorio. Non vengono prese in considerazione le storture e le incongruenze di un sistema di prenotazione che spesso costringe lo stesso cittadino a spostarsi da una parte all’altra della Regione per avere un percorso diagnostico cronologicamente coerente con il proprio quadro clinico. Non si tiene in considerazione che questa modalità, spalmando prestazioni su tutte le strutture del territorio, impedisce di valutare quali siano le reali liste di attesa per la singola struttura con riferimento alla popolazione residente, cioè non si è in grado di valutare quali siano le strutture da potenziare e quelle invece da ridimensionare. Relativamente alle problematica delle liste di attesa non c’è traccia di azioni volte a controllare la correttezza delle modalità di esercizio della libera professione intramoenia. Questa è una lagnanza ormai tanto diffusa alla quale i cittadini sembrano essere rassegnati, tuttavia è facilmente verificabile come appuntamenti che a CUP possono essere prenotabili soltanto dopo mesi, in libera professione intramoenia vengono erogato dallo stesso professionista pressoché in tempo reale. Si trascura il dovere di controllo della Dirigenza Medica e non si richiamano i Direttori Generali ad osservare che, se i tempi di erogazione per una certa prestazione sono superiori a quelli standard fissati dalla Regione, l’attività in libera professione intramoenia, per la stessa prestazione, deve essere sospesa.

Seppur non in linea con le tendenze nazionali, ma adattando il modello organizzativo alla specificità geografica e storica della Regione Umbria potevano essere esperiti un modelli organizzativi innovativi, più confacenti alla necessità di integrazione ospedale e territorio. Ad esempio l’istituzione di Unità di Cure Primarie (UCP), intese non come aggregazioni di medici di medicina generale, ma come strutture complesse all’interno dei Distretti sanitari (una UCP di fatto potrebbe includere ed assorbire tre Centri Salute e relative AFT). Il direttore della UCP, preferibilmente un medico con profilo interni stico e con adeguata esperienza nelle attività territoriali, rapportandosi con i MMG e con i referenti dell’ospedale per quanto di competenza nell’area delle Cure Primarie, sarebbe un’ottima strategia per il contenimento dei ricoveri. Resterebbe confermato il ruolo del Direttore del Distretto, igienista, con funzioni di raccordo con la Direzione Aziendale, con i comuni dell’ambito per l’integrazione socio-sanitaria e con tutte le restanti articolazioni aziendali DIP incluso, in una Regione con un continuo calo demografico e conseguente aumento della popolazione anziana.

Bene per certi aspetti il riferimento al DM 70/2015 ma anche questo dovrebbe essere adattato alle peculiarità della Regione. E’ da tener presente che lo stesso DM è stato in generale poco applicato a livello nazionale oppure è stato interpretato adattandolo molto alle esigenze dei territori e alla loro storia di organizzazione sanitaria o anche agli interessi economici delle regioni con alta capacità di import sanitario. Il PSR dell’Umbria intenderebbe, fra gli altri obiettivi, bilanciare una visione centrale più forte con il rispetto delle peculiarità locali, accentrando, nelle sedi congrue, alcune casistiche della alte specialità, nonché di centralizzare alcuni servizi ed attività di supporto; tale esigenza sarebbe favorita dalle piccole dimensioni della Regione Umbria e dal suo piccolo numero di abitanti. A tal fine dovrebbe provvedere una cabina di regia politica per la pianificazione strategica e per attivare sinergie comuni, in particolare per la determinazione della vocazione di ogni stabilimento ospedaliero e le conseguenti politiche di reclutamento dei vertici professionali. si enunciano i principi sui quali si baserà la riorganizzazione ospedaliera in considerazione dei livelli gerarchici di complessità.

È pienamente condivisibile l’idea generale per la quale alcune prestazioni debbano essere effettuate in strutture dedicate che siano in grado di garantire la casistica necessaria ad assicurare la qualità delle prestazioni. In tal senso lo strumento di valutazione attraverso il PNE è una buona indicazione, tuttavia tale criterio da solo è insufficiente, deve essere coniugato anche con la chiara intenzione di come e dove decentrare le prestazioni di bassa complessità. Non si fa alcun accenno ad un PDTA già ben definito da precedenti delibere regionali: Breast Unit, relativamente a questo ambito specifico doveva esserci fin da subito maggior chiarezza. Nessuna trasparenza circa l’assetto della cabina di regia e ancor meno sul coinvolgimento, già operativo, di alcuni professionisti con il mandato specifico di formulare proposte di redifinizione delle reti di patologia e di alcuni servizi clinici generali…
Questo mandato risulta troppo generico, fino ad essere potenzialmente discriminatorio, in quanto non vengono citati i criteri con i quali sono stati individuati i professionisti chiamati a svolgere questo delicato ruolo, nè viene detto chi siano e quali ruoli ricoprano nell’ambito dell’attuale organizzazione sanitaria regionale. Esprimersi per rideterminare la vocazione delle strutture ospedaliere presuppone che vengano pre-definiti i criteri di “pesatura” affinchè le scelte o valutazioni finali di questo gruppo di lavoro non appaiano come interpretazioni personalistiche e suscettibili di strumentalizzazione. Il modello che viene proposto Hub and Spoke risulta in generale condivisibile, ma si inserisce ad un contesto sanitario che ormai da anni si è articolato e sviluppato su criteri che hanno tenuto in buon conto la peculiare geografia della nostra Regione.

Grave lacuna del PSR è relativa ai tema della mobilità sanitaria interregionale.

L’assessore Luca Coletto

L’Osservatorio GIMBE con il documento n. 2/2020 presenta i valori di mobilità interregionale per l’anno 2020 calcolati sulla base delle matrici di mobilità 2018 approvate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome in data 27 marzo 2020 dai quali risulta per l’Umbria un saldo negativo di oltre 12 mln di euro, conguagliato a circa – 4 mln effettivi. Il 9 marzo in risposta ad un question time l’assessore Coletto ha fornito i dati: “dal 2010 al 2019 la mobilità passiva ha visto un incremento di fatturato di 10,6 milioni di euro, da 86,2 a 96,8 milioni, pari al 12,2 per cento. Mobilità attiva decremento dal 2014 con oltre 108 milioni, al 2019 da 93,4 milioni, quindi un meno 14 per cento. Il saldo era positivo nel 2014 di oltre 20 milioni, nel 2018 il primo saldo negativo di oltre un milione di euro, che nel 2019 diventa 3,3 milioni. I ricoveri costituiscono oltre il 70 per cento di questo trend negativo, la specialistica ambulatoriale il 15 per cento e la somministrazione diretta dei farmaci incide per un 8 per cento. Complessivamente le attività suddette, farmaci, ricoveri e specialistica, sono il 95 per cento del totale della mobilità passiva. Frutto delle scelte operate dalle varie amministrazioni regionali succedutesi. Le principali categorie di ricovero per cui i pazienti umbri si spostano fuori regione sono l’ortopedia, il sistema cardiovascolare chirurgico, le protesi ortopediche per anca e ginocchio, l’oncologia chirurgica, la riabilitazione di lunga degenza e altre. Tale fuga dei cittadini è dovuta anche alla insufficiente attrattività del servizio sanitario umbro per i professionisti, che optano per altre regioni o per il privato.” Non si sottovaluti inoltre il costo sociale aggiuntivo che grava direttamente sul cittadino così come viene indicato da GIMBE: …sono difficili da quantificare i costi sostenuti da pazienti e familiari per gli spostamenti: secondo una survey condotta su circa 4.000 cittadini italiani, nel 43% dei casi chi si sposta dalla propria Regione sostiene spese comprese tra € 200 e € 1.000 e nel 21% dei casi fra € 1.000 e € 5.000, con impatto consistente sul bilancio familiare. A fronte di questo aspetto molto preoccupante il PSR non si esprime con alcuna proposta concreta, anche in questo caso non nulla di più che buoni propositi.

Data la criticità della situazione, sarebbe stato invece necessario sviluppare un’approfondita analisi in grado di evidenziare le dinamiche della mobilità per territorio, per presidio, per specialità, per posizione geografica, per tipologia (attiva o passiva), per esiti, onde comprendere meglio dove, come e perché guadagniamo, perdiamo, attraiamo o subiamo attrazione onde orientare decisioni davvero strategiche: questo è governare la sanità se si vuole recuperare l’equilibrio finanziario del sistema risolvendo i disagi dei cittadini.

Non viene presa in considerazione la ricognizione del patrimonio immobiliare con un censimento delle strutture per avere il quadro di quelle in affitto e di quelle in proprietà sulle quali poter fare investimenti in ordine alle politiche di innovazione e in prospettiva dell’applicazione del PNRR. In questo contesto risulta come gravissima mancanza un qualsiasi riferimento all’ottimizzazione energetica delle strutture sanitarie. Sappiamo bene come i consumi energetici delle strutture sanitarie siano molto superiori all’ordinario sia per l’impiego di energia elettrica che per la produzione di acqua calda, sia per il riscaldamento che in molti casi avviene attraverso termoconvettori. Recuperare in questo settore significherebbe avere altre cospicue risorse da dedicare ad aspetti più direttamente sanitari.

Da questo documento si evince che l’unico rimedio, la panacea per tutti i guai sia uno soltanto: centralizzare. Spingere tanto sulla centralizzazione è soltanto un pretesto per suscitare tali e tante reazioni tali da paralizzare il PSR? Potrebbe essere valida anche questa ipotesi, quando non si ha idea di quali pesci prendere. Come nel Gattopardo prospettare di cambiare tutto per non cambiare nulla e così facendo aprire l’ingresso principale alle strutture private. Più facile convenzionarsi che riorganizzarsi.

Facile battuta dire che di buone intenzioni è lastricato l’inferno, quello che allo stato attuale è che pur in emergenza COVID tante opportunità sono state sprecate da questa Giunta regionale, in particolare in materia di assunzioni, a fronte di una situazione di base, come peraltro ripetutamente segnalato dal sindacato ed evidenziato dai ricorrenti e diffusi disservizi, che appare fortemente critica.

Concludendo possiamo affermare che il PSR è illuminato a tratti discontinui da facili intuizioni e buoni propositi ma ben poco di definito propone a chi dovrebbe farsi un’ idea concreta e ragionata sul futuro della sanità umbra.

Mancano riferimenti ed indicazioni sulle politiche per la gestione delle liste di attesa, in particolare per gli esami diagnostici, che in questo momento in particolare, ma già da alcuni anni sono il cruccio della stragrande maggioranza della popolazione.

Non si esplicita una cronologia delle azioni da intraprendere, cosa che rende qualsiasi progetto poco credibile, incerto e non verificabile.

Non si indicano tempi e modalità di confronto con tutti i portatori di interesse.

      ASSOCIAZIONE “SOCIALISMO XXI” – UMBRIA