Home Evidenza Anche in Umbria c’è allarme per la grande fuga dei medici specializzandi

Anche in Umbria c’è allarme per la grande fuga dei medici specializzandi

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Dai rilievi effettuati risulta che a Perugia 4 scuole su 29 hanno totalizzato il 100% di diserzioni e dunque non hanno avuto neppure un nuovo adepto

In ambito sanitario i dati delle iscrizioni alle scuole mediche dell’università e alle facoltà di Medicina, resi noti dal ministero dell’Università ed elaborati da Als (Associazione liberi specializzandi) e Anaao Giovani, offrono uno spaccato desolante: i giovani medici disertano le scuole di specializzazione dove c’è maggior carenza di specialisti, dalla medicina d’emergenza urgenza alle chirurgie generale e toracica, dalla genetica medica alla radioterapia, farmacologia e tossicologia clinica, medicina del lavoro, medicina e cure palliative, patologia clinica.
Un quadro che disegna un futuro grigio e preoccupante.
Come riporta La Nazione in Toscana su un totale di 120 scuole di specializzazione, distribuite nelle tre Università (Firenze, Siena e Pisa) addirittura 10 non hanno avuto neppure un iscritto per i 50 posti banditi.
Ma anche in Umbria la situazione è a dir poco allarmante: dai rilievi effettuati risulta infatti che 4 scuole su 29 nella nostra regione hanno totalizzato il 100% di diserzioni e dunque non hanno avuto neppure un nuovo adepto.

I motivi della fuga di medici dalle specialità più faticose e meno remunerative sono rintracciabili negli stessi questionari ministeriali somministrati agli specializzandi nel 2023 per la valutazione delle scuole di specializzazione nel 2022 per la prima volta resi pubblici. E anche questi elaborati da Als e Anaao Giovani.
I medici specializzandi se ne vanno, lasciano il servizio pubblico per quello privato perché lì sono maggiormente remunerati, oppure si fanno mettere in reparti meno pesanti, perché non riescono più a reggere i ritmi di lavoro, in un contesto di mancati turnover, salari stagnanti e pressioni crescenti.
Sta di fatto che i lavoratori del settore medico sanitario sono sempre meno.
Questa impietosa fotografia della condizione degli specializzandi non deve far meravigliare se circa il 38% delle borse complessive a livello nazionale non sia stato assegnato, con picchi che raggiungono quasi il 76% nell’emergenza urgenza (nel 2022 erano il 61%).

Ma oltre a questo la Sanità italiana ha a che fare con un altro male: un ulteriore fattore che desta preoccupazione è il calo del numero di medici di medicina generale. Secondo queste tendenze, Agenas stima che nel 2025 in Italia ne mancheranno 3.632.

Per tentare di arginare il fenomeno, il Ministero della Salute è corso ai ripari tentando di agire sulla leva salariale. Nelle prime bozze della legge di bilancio, infatti, risulterebbe uno stanziamento di 2,4 miliardi per il rinnovo dei contratti e un primo adeguamento dei salari. Tuttavia, secondo il sindacato di categoria Anaao Assomed, tale aumento sarà compreso tra il 5 e il 6%, meno di 5 mila euro all’anno lordi in media per medico – cifre che ancora non colmano il divario con i corrispettivi lavoratori di molti altri paesi europei.

A tale riguardo un coro trasversale di tutte le parti politiche chiede di eliminare il numero chiuso nelle Facoltà di Medicina per aumentare il numero delle matricole, peraltro già cresciuto negli anni recenti da poco più di 9.000 a oltre 15.000.
Basterebbe far riferimento al caso del Regno Unito, dove, negli ultimi trent’anni, la frazione di laureati in medicina, tra le persone in età compresa tra i 25 e i 34 anni è aumentata dal 20% al 50%.

 

 

 

È ragionevole ipotizzare che nelle Facoltà di Medicina italiane accadrebbe qualcosa di simile se venisse abolito il numero chiuso o comunque se il numero di iscritti continuasse ad aumentare.

Ma ciò che più sorprende è che ci sarebbe una strada molto più semplice ed efficace per avere un numero maggiore di ottimi medici in Italia: impegnarsi seriamente per far rientrare nel nostro paese i numerosissimi medici che attualmente lavorano negli ospedali e nelle università di tutto il mondo, e che sono universalmente apprezzati per le loro capacità eccezionali. Molti di loro sarebbero felici di poter tornare in Italia. Ciò che li trattiene dal farlo non è solo il trattamento retributivo, ma anche la mancanza di un ambiente che, con trasparenza, premi veramente le capacità e l’impegno e che finanzi adeguatamente la ricerca.