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Dell’Utri assolto al processo Stato-mafia: «Sono commosso, mi è stato tolto un peso dal cuore»

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La Corte di assise di Palermo ha assolto il senatore Marcello Dell’Utri e i carabinieri del Ros Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
L’ex senatore Dell’Utri è stato assolto «per non avere commesso il fatto», gli ufficiali del Ros Subranni, Mori e De Donno «perché il fatto non costituisce reato». I giudici di secondo grado non hanno quindi ritenuto l’ex politico fedelissimo di Silvio Berlusconi il collegamento fra la politica e Cosa Nostra in quella che viene ritenuta la seconda fase della trattativa del 1993 e 1994.

La sentenza, pronunciata nell’aula bunker del carcere Pagliarelli, dopo tre giorni di camera di consiglio, dalla Corte presieduta da da Angelo Pellino e Vittorio Anania giudice a latere, ha revocato le statuizioni civili nei riguardi degli imputati De Donno, Mori, Subranni e Dell’Utri e rideterminato in 5 milioni di euro l’importo complessivo del risarcimento dovuto alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
L’ex senatore non era presente al momento della sentenza: era al bunker di Pagliarelli lunedi scorso, poco prima che la Corte si ritirasse in camera di consiglio. «Sono sempre stato tranquillo, altrimenti non sarei qui», aveva detto. Oggi dice: «Questa sentenza è la migliore risposta a quelli che spargevano odio; onestamente non me l’aspettavo ma la sognavo. Sono soddisfatto e commosso. E’ un peso che ci togliamo, il sistema giudiziario funziona». Il ritorno in politica? «Non scherziamo, preferisco i miei libri».
«E’ un film, una cosa inventata totalmente, ma avevo paura potessero credere a queste cose inventate, servendosi dei soliti pentiti e della solita stampa che affianca la procura di Palermo». «Non so esattamente di cosa fossi accusato – ha aggiunto Dell’Utri -. Non ho seguito questo processo. Credo fosse per aver ricevuto minacce dai mafiosi, che dovevo riferire a Berlusconi, minacciandolo a sua volta se non avesse provveduto a fare leggi a favore dei mafiosi. Tutta una cosa allucinante, nel governo di Berlusconi ci sono state solo leggi contro i mafiosi».
«Ma era talmente palese che anche in primo grado avrebbero dovuto riconoscerlo, eppure il clima allora era tale che non bisognava vedere le carte. Io credo che questa Corte abbia lavorato con criterio, cognizione e coscienza. I miei avvocati hanno smontato il processo dalle fondamenta, ho ascoltato le arringhe e non era possibile non riconoscere l’assurdita’ dell’impianto accusatorio», ha concluso l’ex senatore.

«Gli anticorpi della democrazia hanno funzionato», è il commento dell’avvocato Francesco Centonze, che con Francesco Bertorotta difende Dell’Utri. «Dopo anni di processo una sentenza ha ricostituito la correttezza del quadro probatorio arrivando a una soluzione che riteniamo condivisibile». Non si aspettavano nulla, sostengono, «abbiamo lavorato in questa direzione eravamo convinti che questo sarebbe stato l’esito, ma aspettarselo è un altro discorso». «E’ un peso che ci togliamo tutti. Non solo dell’Utri», ha concluso.
Il dispositivo della sentenza
«In parziale riforma della sentenza emessa dalla Corte di assise di Palermo in data 20 aprile 2018 – si legge dispositivo del processo di appello – assolve De Donno Giuseppe, Mori Mario e Subranni Antonio dalla residua imputazione a loro ascritta per il reato di cui al capo A, perché il fatto non costituisce reato. Dichiara il non doversi procedere nei riguardi di Bagarella Leoluca Biagio, per il reato di cui al capo A, limitatamente alle condotte commesse in pregiudizio del governo presieduto da Silvio Berlusconi, previa riqualificazione del fatto… come tentata minaccia pluriaggravata a corpo politico dello stato, per essere il reato così riqualificato estinto per intervenuta prescrizione. E per l’effetto ridetermina la pena nei riguardi di Bagarella in anni 27 di reclusione. Assolve Dell’Utri Marcello dalla residua imputazione per il reato di cui al capo A, come sopra riqualificato, per non avere commesso il fatto e dichiara cessata l’efficacia della misura cautelare del divieto di espatrio già applicata nei suoi riguardi».
La Corte ha revocato le statuizioni civili nei riguardi degli imputati De Donno, Mori, Subranni e Dell’Utri e rideterminato in 5 milioni di euro l’importo complessivo del risarcimento dovuto alla Presidenza del Consiglio dei ministri. La Corte d’assise «conferma nel resto l’impugnata sentenza anche nei confronti di Giovanni Brusca e condanna gli imputati Bagarella Cinà alla rifusione delle ulteriori spese processuali in favore delle parti civili (Presidenza del Consiglio dei ministri, presidenza della regione siciliana, comune di Palermo, associazione tra familiari contro le mafie, centro Pio La Torre». La corte ha fissato in 90 giorni il termine per il deposito delle motivazioni.

 

Tredici anni di indagini
La storia sarebbe cominciata dopo l’uccisione dell’eurodeputato Salvo Lima nel marzo 1992 e sarebbe entrata nel vivo tra l’attentato a Giovanni Falcone e la strage di via D’Amelio in cui morì Paolo Borsellino. In quella stagione sarebbero cominciati gli incontri riservati del comandante del Ros, Mario Mori, e del suo braccio destro Giuseppe De Donno con Vito Ciancimino. Per la Procura di Palermo da lì sarebbe partita la “trattativa” tra Stato e mafia. Cosa che i due ufficiali hanno sempre sostenuto (e trova ora riscontro nella sentenza d’appello) fosse invece un’attività investigativa con cui si mirava a fermare le stragi e a catturare Totò Riina. Le posizioni non sono mai cambiate sin da quando – era il 2008 – il caso è diventato un fascicolo giudiziario.

Anche grazie alle dichiarazioni di Massimo Ciancimino (poi giudicato inattendibile in molte sue ricostruzioni), solo nove anni fa, il 29 ottobre 2012, la vicenda è approdata in dibattimento con l’udienza preliminare conclusa con il rinvio a giudizio di Riina e del cognato Leoluca Bagarella, di Bernardo Provenzano, Mori, De Donno, Massimo Ciancimino, Marcello Dell’Utri indicato come il tessitore politico della «trattativa», Giovanni Brusca, Antonino Cinà medico di Riina e postino del «papello» con le richieste dei boss, Antonio Subranni all’epoca capo di Mori.

A giudizio era finito anche l’ex ministro Nicola Mancino, ma solo per falsa testimonianza. E’ stato assolto. Tra gli accusati c’era anche l’ex ministro Calogero Mannino dal quale tutto sarebbe partito: per l’accusa avrebbe innescato proprio lui la «trattativa» dopo avere ricevuto pesanti minacce dalla mafia. Mannino è però uscito di scena: ha scelto il rito abbreviato ed è stato assolto definitivamente in Cassazione l’11 dicembre 2020. Una sentenza che ha messo in discussione l’impianto del processo, come dicono ora anche i giudici di appello.
In primo grado il dibattimento, presieduto da Alfredo Montalto, era cominciato il 27 maggio 2013 e si era concluso con condanne molto severe il 20 aprile 2018, quando Riina e Provenzano erano già morti. La pena più grave – ben 28 anni – era andata a Bagarella. E poi 12 anni per Mori, Subranni, Dell’Utri e Cinà, 8 per De Donno. La condanna a 8 anni di Ciancimino (calunnia) è già prescritta. Prescritte anche le accuse a Brusca. Per i giudici di primo grado la «trattativa» dunque ci fu ed era illegittima perché protagonisti erano uomini delle istituzioni e soggetti che «rappresentavano l’intera associazione mafiosa». Su questa tesi accusa e difesa hanno ingaggiato nel giudizio di appello, cominciato il 29 aprile 2019, un confronto molto serrato. E stavolta il verdetto è ribaltato. C’erano le minacce della mafia ma non la «trattativa».

 

Lo sfogo della figlia di Subranni

Parla anche Danila Subranni, figlia dell’ex ufficiale del Ros Antonio Subranni, che in un lungo post scrive: «Grazie alla conoscenza profonda che ho del rigore etico di mio padre, grazie alla famiglia, agli amici, ai miei colleghi, non ho mai avvertito la necessità di una riabilitazione del mio cognome, scandito sempre a chiare lettere, a voce ferma, in ogni ambito istituzionale in cui ho lavorato. Si riabilitino gli altri, se possono, si riabilitino coloro che negli anni, a processo in corso, a vario titolo e livello, hanno leso mio padre, la sua indiscutibile appartenenza allo Stato, colpendolo al cuore irrimediabilmente, ferendo la vita di mia madre, la mia e quella di mio fratello. Per quel che ci riguarda, chiederemo che ne rispondano a uno a uno, nei modi possibili che la Legge ci consentirà di perseguire. In base al principio di garanzia che vale per tutti: chi sbaglia, paga».
In questi anni – accusa la figlia dell’ex ufficiale – «ha vinto l’uso “creativo” della giustizia, che ha coinvolto un servitore dello Stato, la torsione della verità per fini ambigui, in ultimo per una vana gloria, peraltro mai raggiunta da coloro che sulla condanna di mio padre avevano investito». «Uno per tutti – conclude -, voglio ricordare con orgoglio un attacco che è stato scritto con disprezzo e che, invece, conteneva una bellissima verità: si’, e’ vero, noi siamo una “famiglia di Stato”».

Nessun commento invece da parte del procuratore generale Giuseppe Fici: «Aspettiamo le motivazioni e leggeremo il dispositivo», si limita a dire sul ribaltamento della sentenza di primo grado.

Le reazioni della politica

«La sentenza della Corte di Cassazione ha restituito l’onore e la dignità al senatore Dell’Utri, accusato di aver fatto da tramite alla trattativa Stato-mafia, e ai Ros Mori e Subranni», dice Osvaldo Napoli, deputato di Coraggio Italia. «Tredici anni di veleni e di fango, costruiti sulle bufale di pentiti mai riconosciuti attendibili, sono stati cancellati dalla sentenza scrupolosa e argomentata della Corte di Cassazione».

Per il senatore Maurizio Gasparri, componente del comitato di presidenza di Forza Italia, «il generale Subranni è stato il primo comandante del Ros ed è stato un eroe della lotta alla criminalità. Il generale Mori è stato, è, e sarà un protagonista del fronte della legalità e della lotta al crimine e sono onorato di avere difeso lui, Subranni ed altri in tutti questi anni da accuse infamanti e infondate». Dell’Utri «ha subito aggressioni senza ragione, perché qualcuno voleva riscrivere con le bugie la storia d’Italia». Ora «chi ripagherà Subranni, Mori e tanti altri per anni e anni di processi che non ci dovevano essere? Ne dovranno rispondere gli accusatori che sono stati celebrati e che dovranno essere messi sotto i riflettori per capire quali oscure ragioni hanno imbastito processi che non dovevano nemmeno essere avviati. Ci sono presunti eroi della legalità che hanno messo in piedi questo teatro e che in sede politica chiameremo a rispondere».

«L’assoluzione di Marcello Dell’Utri e degli ex ufficiali dell’Arma Subranni, Mori e De Donno – dice Stefania Prestigiacomo, deputata di Forza Italia – spazza via anni di insinuazioni e falsità. Nessuno potrà restituire loro la serenità perduta, tuttavia oggi ha vinto lo Stato. I fatti sono stati anteposti alle illazioni. Credo si debba tutti riflettere su quanto accaduto».

«Le sentenze non si commentano ma si rispettano, questa è la nostra linea. Possiamo aggiungere solo che rimaniamo in attesa di conoscere nel dettaglio le motivazioni che hanno portato a tale sentenza», dichiarano le deputate e i deputati del Movimento 5 Stelle della commissione Giustizia. «Da un passaggio del dispositivo della sentenza si evince che le assoluzioni di De Donno, Mori e Subranni sarebbero ricondotte alla consueta formula “perché il fatto non costituisce reato”. Quindi tutto lascia intendere che i fatti siano confermati e questo per noi fa sì che a livello politico e istituzionale rimangano intatte tutte le responsabilità emerse».

 Antonio Tajani (FI): “Finalmente si è fatta giustizia: “Era ora. Finalmente c’è un tribunale che dimostra quando è importante essere garantisti. I processi mediatici contro Dell’Utri e tre ufficiali dei carabinieri si sono rivelati infondati. Finalmente si è fatta giustizia nei confronti di quattro persone. Si è fatta giustizia e sono lieto che tutti e quattro siano stati assolti”.

Il sottosegretario Mulè: “Riconosciuto il calvario subito da servitori-eroi dello Stato” “Con la sentenza della Corte d’assise d’Appello di Palermo si chiude una delle pagine più dolorose vissute dagli imputati del processo Stato-Mafia e dalle istituzioni. Nel rispetto dovuto alle sentenze viene riconosciuto il calvario subito da servitori-eroi dello Stato che per lunghissimi anni hanno dovuto affrontare l’accusa infamante di essere scesi a patti con Cosa Nostra”. Lo ha detto il sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulè.

Anche il senatore di Forza Italia e componente della Commissione Giustizia, Franco Dal Mas, ha ribadito i concetti esposti dai suoi colleghi: “Tredici anni di indagini, di pregiudizi, di teoremi fantasiosi rivelatisi fallaci. Troppe vite sono state lese da questo processo, troppe carriere sono state stroncate. Non posso che esprimere soddisfazione per questa sentenza che riabilita Dell’Utri e le altre vittime di accuse infamanti, ma non basta. Forse è il caso di cominciare a pensare alle carriere dei professionisti dell’Antimafia, come ebbe a definirli l’eretico Sciascia. Carriere che sono state edificate su teoremi caduti come un castello di carte”.

L’indifferenza e i dubbi del Partito democratico

Nessuna reazione da parte di Enrico Letta, che si è limitato a commentare: “È evidente che parte di sorpresa c’è per il rovesciamento rispetto agli altri gradi di giudizio, ma su temi così complessi serve leggere le motivazioni e i ragionamenti fatti. Sicuramente sarà una sentenza che farà molto discutere, non ho nessun dubbio”.
Umberto Buratti del Partito democratico ha completamente ignorato l’assoluzione di Dell’Utri, concentrandosi su quella dei militari coinvolti: “La sentenza sulla presunta trattativa Stato-mafia ha assolto gli ex ufficiali dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno. Tre servitori dello Stato e l’intera Arma dei Carabinieri hanno visto infangato il loro nome per lunghi anni. Chi potrà risarcirli? La sentenza di assoluzione, infatti, restituisce loro l’onore ma non cancellerà mai gli anni di dolore e preoccupazione per un’accusa incomprensibile”.Il dem prosegue: “Finisce il calvario di grandi servitori dello Stato e si chiude con una sonora bocciatura processuale un’inchiesta che, a tratti, è sembrata una farsa utile a sbattere il mostro in prima pagina. Dobbiamo tutti interrogarci sul giustizialismo spettacolo che ammorba il Paese e proseguire sulla strada tracciata dalla Ministra Cartabia per una indispensabile, profonda e organica riforma della giustizia”.

Più scettico il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando: “La sentenza della Corte d’appello sul processo Trattativa Stato-mafia ribalta il pronunciamento di primo grado. Ritengo, tuttavia, sia importante attendere le motivazioni per comprenderne pienamente le basi sui cui poggia. Rispetto il giudizio dei magistrati, tuttavia questa sentenza rischia di non diradare, anche in virtù di una sentenza di primo grado che ha messo in fila fatti inquietanti, le tante zone d’ombra su uno dei periodi più oscuri della nostra Repubblica e sul rapporto perverso tra mafia, politica e istituzioni che ha scandito a suon di bombe la storia italiana”.

 

M5s: “Le sentenze non si commentano ma si rispettano”
In una nota delle deputate e dei deputati del Movimento 5 stelle componenti la commissione Giustizia hanno dichiarato: “Le sentenze non si commentano ma si rispettano. Questa è la nostra linea. Possiamo aggiungere solo che rimaniamo in attesa di conoscere nel dettaglio le motivazioni che hanno portato a tale sentenza. Da un passaggio del dispositivo della sentenza si evince che le assoluzioni di De Donno, Mori e Subranni sarebbero ricondotte alla consueta formula ‘perchè il fatto non costituisce reato’. Quindi tutto lascia intendere che i fatti siano confermati e questo per noi fa sì che a livello politico e istituzionale rimangano intatte tutte le responsabilità emerse”.

 

Lupi: “Sconfitta per il giustizialismo”

Maurizio Lupi di Noi con l’Italia esulta per il risultato: “La sentenza sulla trattativa Stato-mafia rende giustizia alle istituzioni e condanna i mafiosi. Una sconfitta per il giustizialismo ed i teoremi, una vittoria per il diritto. Ora, dopo tanti anni, sarebbe giusto risarcire chi è stato infangato per aver servito lo Stato in un momento estremamente difficile”.