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Coronavirus, piccoli commercianti in profonda crisi

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Grido d’allarme degli esercenti: “Serve un piano Marshall per salvare i piccoli negozi”

Ha ragione da vendere Carlo Sangalli, presidente della Confcommercio, quando afferma “se non ci sarà un piano d’intervento strutturato, alla fine della crisi, molti piccoli negozi rischiano di non riaprire”. Anche a Foligno la crisi delle piccole botteghe si fa sentire e d’altro canto l’emergenza sta rivelando quanto sia profonda la relazione tra i territori, le città, il commercio. A soffrire sono migliaia di commercianti, artigiani, lavoratori autonomi, lavoratori delle attività artistiche e di intrattenimento – che solo nel mese di marzo hanno perso tutto il loro fatturato a causa della cessazione parziale o totale della loro attività.
E a fare un giro fra chi è stato obbligato ad abbassare la saracinesca nella città della Quintana il coro è unanime. “Siamo obbligati a non lavorare e la nostra attività per molti rappresentava l’unico modo di poter avere un introito. Il decreto “cura Italia” è solo il primo passo. Bisogna fare molto di più. Ci muoviamo su un terreno incognito, perché non sappiamo ancora quanto a lungo si protrarrà l’emergenza sanitaria, ma proprio per questo bisogna attrezzarsi subito per contrastare l’impatto della recessione che avanza”.
Un altro commerciante a “riposo obbligato” afferma: “Sono d’accordo con chi sostiene la necessità di tornare al concetto del Piano Marshall: serve un intervento straordinario per reagire allo shock che ha azzerato i fatturati di intere filiere economiche e che ha investito tanto la domanda, quanto l’offerta. Le piccole imprese che sono state paralizzate nel periodo del lockdown, devono essere messe subito nelle condizioni di sopravvivere e poi di ripartire. E non c’è altra via che quella degli strumenti straordinari per immettere liquidità raccordati con l’Europa. Il tutto a zero burocrazia perché il tempo si sta esaurendo”.
Un altro si avventura in questa analisi: “Sicuramente oltre alle moratorie fiscali va sostenuta la liquidità delle imprese sul versante dell’accesso al credito. Quanto agli indennizzi, il capitolo è ancora tutto da scrivere e i 600 euro previsti per il mese di marzo per i lavoratori autonomi non sono certo la soluzione”.
E c’è chi guarda al futuro con uno sguardo fisso sul presente.
“In questo momento una piccola dose di ossigeno ce l’hanno data le consegne a domicilio, ma è chiaro che così non è sufficiente. Siamo certi che in futuro crescerà il bisogno di sicurezza anche nell’esperienza di consumo e che anche i grandi magazzini non cancelleranno il bisogno di relazione e di socialità che si accompagna ai consumi di quartiere a livello capillare. Il modello di servizio espresso dal pluralismo distributivo del commercio italiano cambierà, si rinnoverà. Non sarà facile, ma ce la faremo”.