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Centro Ematologia di Perugia in prima linea contro la Leucemia Linfatica Cronica

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Il prof. Paolo Sportoletti
Il prof. Paolo Sportoletti

Intervista esclusiva al dottor Paolo Sportoletti, specialista ematologo e docente presso l’Università degli Studi di Perugia

 

di Francesco Castellini – Il 4 febbraio si è celebrata la Giornata Mondiale contro il cancro (World Cancer Day), promossa dalla Uicc – Union for International Cancer Control – e sostenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

La Giornata, giunta al ventitreesimo anniversario, rappresenta un importante momento di riflessione e l’occasione per trarre un bilancio sui risultati fin qui raggiunti su quanto si sta facendo in campo medico-scientifico nella lotta contro i tumori.

Nel 2022, in Italia, sono state stimate 390.700 nuove diagnosi di cancro (nel 2020 erano 376.600), 205.000 negli uomini e 185.700 nelle donne.

In due anni, l’incremento è stato di 14.100 casi.

Il tumore più frequentemente diagnosticato, nel 2022, è il stato il carcinoma della mammella (55.700 casi, +0,5% rispetto al 2020), seguito dal colon-retto (48.100, +1,5% negli uomini e +1,6% nelle donne), polmone (43.900, +1,6% negli uomini e +3,6% nelle donne), prostata (40.500, +1,5%) e vescica (29.200, +1,7% negli uomini e +1,0% nelle donne).

Nell’elenco spicca anche la Leucemia Linfatica Cronica (LLC), una neoplasia ematologica che consiste in un accumulo di linfociti nel sangue, nel midollo osseo e negli organi linfatici (linfonodi e milza).

È la leucemia più comune nel mondo occidentale ed è tipica dell’anziano. L’età media alla diagnosi è attorno ai 70 anni e meno del 15% dei casi viene diagnosticato prima dei 60 anni. Colpisce ogni anno circa 5 persone su 100.000 e l’incidenza aumenta con l’aumentare dell’età. In Italia le stime parlano di circa 1.600 nuovi casi ogni anno tra gli uomini e 1.150 tra le donne.

Sono conosciuti alcuni fattori causali, quali ad esempio le radiazioni ionizzanti e il benzene. Diversi studi hanno dimostrato che fattori genetici o familiari possono predisporre allo sviluppo della malattia. Nei parenti di primo grado di pazienti affetti da LLC l’incidenza è maggiore rispetto a quella osservata in una popolazione normale di controllo.


Il Centro Ricerca Emato-Oncologica dell’Ospedale di Perugia

Il Centro di Ematologia dell’ospedale di Perugia è da sempre un punto di riferimento strategico nel trattamento di tumori ematologici, inclusa la Leucemia Linfatica Cronica.

E dunque per far luce sui grandi progressi della ricerca scientifica in termini di miglioramento dell’aspettativa e della qualità di vita per i pazienti con queste neoplasie abbiamo intervistato il dottor Paolo Sportoletti, professore associato dell’Università degli Studi di Perugia, che svolge la sua attività in corpo all’Istituto di Ematologia dove si occupa di ricerca, di diagnosi e di terapia delle malattie del sangue.

Laureato in Medicina e Chirurgia, specialista ematologo, il Professor Sportoletti si è formato all’Università di Perugia per poi trascorrere tre anni all’estero, in parte al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York e quindi all’Harvard Medical School di Boston.

Dottor Sportoletti ci può fare un quadro della situazione e riferire a che punto siamo nella lotta contro la leucemia linfatica cronica?

La terapia per questa patologia è ad oggi ben definita, negli ultimi sei anni è migliorata in maniera considerevole. Mentre prima per contrastare la leucemia linfatica cronica si aveva a disposizione solo la chemioterapia, attualmente quello che si usa, con risultati importanti, sono i farmaci a bersaglio molecolare, i cosiddetti farmaci intelligenti. Il primo farmaco a bersaglio molecolare autorizzato nella pratica clinica è l’Ibrutinib, che prevede una singola somministrazione giornaliera orale, sviluppato e commercializzato da Janssen.

Il farmaco agisce bloccando la proteina tirosin-chinasi di Bruton (BTK). Questa proteina è iperattiva nella LLC e permette alle cellule tumorali di crescere e diffondersi. Bloccando questa proteina, Ibrutinib aiuta l’eliminazione dei linfociti B neoplastici.

Ibrutinib è rimborsato, in monoterapia, in Italia per il trattamento di adulti con la Leucemia Linfatica Cronica non precedentemente trattata o nei pazienti recidivati.

C’è qualcosa che la provoca o è di natura genetica?

In realtà la patologia non è ereditaria. Esistono diversi geni coinvolti nella malattia, ma gli studi finora disponibili non hanno rivelato una trasmissione diretta da genitore a figli anche se esistono delle famiglie in cui c’è più alta incidenza di questo tipo di tumore.

Le cause che determinano lo sviluppo della LLC ad oggi sono per lo più ignote. Ci sono alcune esperienze che suggeriscono che l’esposizione ad alcuni prodotti chimici come il benzene e altri agenti possono avere un ruolo. D’altra parte, il fatto che non si sappia il perché della sua origine non ci ha impedito di capire come intervenire nel trattamento.

Si può curare? Che speranze si possono dare ai pazienti affetti da questa patologia?

Va detto che la leucemia linfatica cronica è incurabile, ma questo non significa una condanna a morte. Incurabilità vuol dire che ad oggi tutti i farmaci che abbiamo a disposizione non riescono a mettere fine alla malattia, ma sono tutti altamente efficaci perché aumentano significativamente la sopravvivenza nel momento in cui vengono utilizzati. Quindi il termine incurabile può spaventare ma in realtà l’efficacia terapeutica è molto ben definita. E sono farmaci, ribadisco, che hanno cambiato radicalmente le cure e la gestione dei malati. I pazienti affetti da leucemia linfatica cronica devono ricorrere sempre meno a trattamenti chemioterapici, beneficiando di nuovi farmaci come Ibrutinib che possono essere assunti per bocca, aumentando così la sopravvivenza in maniera considerevole, al tal punto che l’aspettativa di vita in alcuni malati può essere riportata a quella di una popolazione generale di pari età.

Ci può spiegare in termini semplici come tale intervento ha modificato in maniera significativa il corso della terapia per questi malati?

Intanto va precisato che esistono bersagli diversi dalla proteina BTK, contro cui agisce Ibrutinib. Uno di questi è la proteina BCL2 che viene inibita da un farmaco chiamato Venetoclax, anche esso utilizzato per la terapia contro la leucemia linfatica cronica.

Da quanti anni viene impiegato il farmaco a bersaglio molecolare di Janssen di Johnson & Johnson?

Nella pratica clinica siamo arrivati al sesto anno di utilizzo di ibrutinib.

Quindi si può affermare che oggi il malato affetto da leucemia linfatica cronica può vivere una vita normale?

Sono convinto che sia opportuno trattare le malattie sempre tenendo fede all’obiettivo ambizioso di poter assicurare al paziente una buona qualità della vita.

E questi farmaci lo consentono. Peraltro esistono anche degli studi che dimostrano che nella terapia, aumentando la qualità della vita, si ottiene un aumento della sopravvivenza.

Una fotografia della realtà umbra?

Ogni anno si contano intorno a 50 nuove diagnosi di LLC nella nostra regione. Attualmente i malati che vengono seguiti ambulatorialmente in Umbria raggiungono circa i 1200 se prendiamo in considerazione i centri di Perugia, Terni e il resto del territorio, a cui vanno ad aggiungersi i pazienti che arrivano dalle legioni limitrofe, dalla Toscana, dal Lazio, dalle Marche. Questo importante numero di malati determina un carico assistenziale significativo per il nostro centro che viene supportato anche grazie al contributo di organizzazioni di volontariato come la fondazione Daniele Chianelli.

Il farmaco è frutto di una ricerca italiana o internazionale?

Gli studi relativi al bersaglio molecolare di ibrutinib iniziano già negli anni cinquanta grazie ad uno studioso che si chiamava Ogden Bruton, che era un militare in realtà, che aveva scoperto una patologia in cui la proteina BTK non funzionava.

Da lì si è poi dato il via ad un lunghissimo percorso di ricerca, che non è attribuibile alla singola entità ma piuttosto ad un intenso lavoro di squadra, internazionale.

Si può dare una concreta speranza a tutti i pazienti affetti da questa patologia?

Sì, assolutamente. Adesso è possibile combattere e contrastare la malattia mantenendo per il malato una buona qualità della vita.

Su un piano personale l’esperienza fatta negli Stati Uniti quanto le è stata utile e come si riflette sul suo lavoro quotidiano?

L’esperienza americana è stata fondamentale. Ho avuto la possibilità di fare molta ricerca in due istituti estremamente prestigiosi e di eccellenza a livello mondiale.

Sono stato in contatto con persone di altissimo livello, basti pensare che il direttore della parte scientifica del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York era un premio Nobel.

E quindi questo percorso negli Stati Uniti ha aperto la mia mente a modalità di ricerca innovative, con proficuo lavoro di squadra e continuo scambio di informazioni.

Il laboratorio in cui operavo era ben rodato, frutto di una selezione speciale, di quelle che consentono di avere un team formato da soggetti molto motivati provenienti da tutte le parti del mondo.

La ricerca di Janssen si sta evolvendo in questo segmento?

Janssen produce anche altri farmaci per altre patologie del sangue. Una prossima evoluzione nel contesto della LLC sarà la possibilità di utilizzare ibrutinib in associazione ad altre molecole come venetoclax per aumentarne l’efficacia e ridurre la durata della terapia.

Dunque possiamo essere orgogliosi noi umbri che nella nostra regione opera questo centro di eccellenza?

Assolutamente sì. L’Ematologia di Perugia ha un profilo e uno spessore che per essere all’interno di una regione non così popolosa lo rende un centro di riferimento nazionale e internazionale nella cura delle malattie del sangue. Questo è legato alla storia di questo Istituto che è nato con il professor Massimo Fabrizio Martelli, un grande maestro per me e tutti i miei colleghi ematologi che hanno avuto il privilegio di lavorare con lui in passato.