Home Musica Alessandro Quarta, un violino “non temperato” suona per Omaggio all’Umbria

Alessandro Quarta, un violino “non temperato” suona per Omaggio all’Umbria

0

La provvidenziale scelta di Laura Musella di utilizzare la bellissima sala casciana, oltretutto nel giorno della ricorrenza del Santo eponimo della città ci ha consentito di conoscere un violinista dai contorni straordinari

Quattro corde “spericolate” per un violinista alla Vasco Rossi. Nella Sala della Pace, guarnita da un pubblico sottratto alle piogge diluvianti, domenica sera il festival Omaggio all’Umbria ha realizzato un concerto nonostante le intemperie. Un bel risultato per una stagione che costringe gli organizzatori a incredibili giravolte con nuvole e folate di vento. La provvidenziale scelta di Laura Musella di utilizzare la bellissima sala casciana, oltretutto nel giorno della ricorrenza del Santo eponimo della città ci ha consentito di conoscere un violinista dai contorni straordinari, nonostante le borchie da metallaro, gli orecchini, i vistosi bracciali, la cintura da bullo, un vistoso abbigliamento da personaggio poco raccomandabile. Ma Alessandro Quarta, per sua dichiarazione, ha dismesso da tempo la marsina e lo smoking per offrirsi come molti lo hanno visto al festival di Sanremo quando dialogava coi ragazzi del Volo. Lui dice di farlo per avvicinare i giovani alla musica classica, ma probabilmente è solo una abile scelta pubblicitaria per forare il muro della notorietà. Al di là del vestiario, quel che conta è che Quarta è uno strumentista straordinario, capace di farti drizzare i capelli in testa appena appoggia le corde sul suo Alessandro Gagliano del 1723. Uno strumento da romanzo, un manufatto napoletano che è sfuggito a Dominque Fernandez nelle sue rivisitazioni della civiltà partenopea, un violino semplicemente “eccessivo” in quando a dolcezza di emissione, e, non la si consideri una contraddizione, una incisività di timbro capace di propagarsi con la diffusività di una voce nitida e tagliente. Forse ci vorrebbe la penna del Malaparte di La pelle per collocarlo in una temperie culturale dove l’eccesso è la norma, e la stravaganza è codice di comportamento.

Presentandosi al pubblico di Omaggio all’Umbria, abituato alle classiche “stravaganze” di Uto Ughi e ai capricci estrosi del giovane Stefano Mhanna, l’ingresso a “gamba tesa” di Quarta è un po’ un piccola rivoluzione copernicana. Far maneggiare Vivaldi, Sarasate e Paganini a uno che ha suonato con Liza Minelli, con Celine Dion, Amy Stewart, dialogando altresì con Roberto Bolle è un’operazione che richiede una certa cautela nell’accettare atteggiamenti estremi. Come quelli che Quarta ha adottato nella sala della Pace nella riproduzione di due Stagioni vivaldiane. Ma certo, al di là di certe estremizzazioni nelle dinamiche ritmiche, non necessarie in un autore che ha già scritto tutto quello che si deve suonare, non si può negare che l’accento strumentale era pieno di entusiasmo, era perfettamente intonato, e le velocità supersoniche erano dominate magistralmente. Merito in questo, anche dei Filarmonici romani, appena in otto, per un suono che raramente si può sentire così pregnante, potente e diffusivo.

Lo stesso con cui gli archi avevano accompagnato, in apertura di programma, un concerto solistico vivaldiano suonato dal violoncellista anconetano Luca Pincini. Una voce di valore nell’economia della serata, anche perché Luca si era portato in sala la moglie, Gilda Buttà, “semplicemente” la pianista del Morricone della Leggenda del pianista sull’Oceano. Dopo l’esordio vivaldiano, mentre frotte di pellegrini entravano e uscivano dalla sala, attratti dal suono, Quarta ha voluto misurarsi col grande virtuosismo del Sarasate delle Variazioni sulla Carmen. Non le esegue come Uto Ughi, ma la misura delle sue acrobazie tra arco e corde è risultata quasi irritante nella sua capacità di evocare un mondo di suoni che è difficile dominare come ascoltatori. Eravamo tutti sopraffatti da questa strapazzata di note iridescenti, particolarmente inquietanti quando Alessandro contorna i singoli suoni di armonici collaterali che conferiscono alle singole emissioni un alone di vibrazioni e consonanze estranee all’armonia tradizionale. Siamo indubbiamente di fronte a una nuova dimensione acustica che sollecita gli enunciati del “terzo orecchio” postulati da Nietzsche, con una auspicabile quadratura del cerchio dell’impossibile che può realizzarsi. Un po’ stressati da questo confronto con l’incredibile, noi ascoltatori siamo stati grati a Quarta per un ritorno nella normalità di una fantasia sui temi dei films di Nino Rota, AmarcordLa dolce vita Otto e mezzo. Un dialogo coi ricordi, è vero, ma con un violino che ti tiene sempre in tensione con un contatto che è permanente sollecitazione e inquietudine. Quarta insomma ce la mette tutta per toglierci sonni tranquilli e la sua successiva proposta del dittico di Piazzolla, una sua specialità, non ci ha lasciato scampo. Questo musicista ha un rapporto non euclideo col suono e il suo Gagliano sembra quasi rivestito di pelle umana, tanto lancinante è la risonanza che emette. Per chi conosce i romanzi di E.T.A. Hoffmann, centenario in corso, si può quasi ipotizzare la vista di un vapore che sembra scaturire dalle corde. C’è da scriverci un romanzo da Premio Campiello. E visto che siamo in tema di centenari, Quarta ha voluto ricordarci i suoi trascorsi accademici con Salvatore Accardo, quando ha voluto isolarsi icasticamente nel Preludio della Prima Sonata di Bach. Filarmonici sparsi per la sala, e il solista salentino isolato a misurasi con la purezza della dimensione sonora del Cantor. Il risultato è quello che Pasolini nei suoi scritti giovanili del ’46 su questa musica, aveva postulato: la sensualità nella purezza, il peccato cancellato dal candore, la misura adamantina di un percorso della mente che può vagare in spazi siderali. Quarta accademicamente promosso cum laude e si suoni tutti gli eccessi che vuole. Laura Musella, devota Signora della musica in Umbria, artefice e pronuba di un viaggio tra spazi inediti del suono, un interstizio con una dimensione dell’ascolto che sfiora il viaggio stellare.
    Stefano Ragni