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Turandot dei bambini al teatro Concordia

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Un successo del Primo circolo didattico

Mettere insieme un ciurma di bambini, coprirli di costumi esotici e farli cantare in coro è stata una impresa probabilmente ardua. La dirigente del Primo circolo didattico marscianese, Mariangela Severi, e tre maestre, Isabella e Paola Stafficci e Giuseppina Acerra in due mesi, con sole dieci lezioni hanno saputo raggiungere una efficacia spettacolare di incredibile spessore mettendo in scena una vera e propria Turandot rispondendo così a uno specifico bando del MIUR destinato alla pratica del canto corale nella scuola primaria. Sapendo quanto sia deficitario l’insegnamento della musica in ogni grado di scolarizzazione, non si può che registrare come eccezionale il risultato che ieri sera era sotto gli occhi di tutti.

Teatro colmo, in platea e galleria, telefonini accesi, applausi a ogni dizione di bambino. Sono stati proprio loro, uno per volta a leggere la storia che si stava svolgendo sotto i nostri occhi. Vicenda impropriamente cinese, perché chi la pensò, nel dodicesimo secolo, il poeta Nižami, era un azero che si esprimeva in idioma persiano e si riferiva a una leggenda del misterioso paese di Turan. Carlo Gozzi l’ha divulgata in terra veneziana, luogo di approdo delle merci della Via della Seta e Puccini l’ha presa per quello che era diventata, una storia d’amore esotica in una dimensione di violenza espressionistica, come era proprio nell’Europa degli anni Venti, quella insanguinata dalle partiture greco antiche di Richard Strauss.

Naturalmente il coro di bambini, a cui è stato affidato anche il mitico Nessun dorma faceva da supporto a voci professionali che impersonavano i ruoli pucciniani: Paola Stafficci, che dirigeva anche la compagnia di infanti, vestita di sontuosi panni regali ha interpretato al meglio un ruolo che tutti le abbiamo saputo sempre congeniale. La sua voce, che essere di acciaio tagliente, è memore degli insegnamenti ricevuti da Antonietta Stella e recentemente ha goduto dell’apprezzamento del tenore Enzo Tei, che della Stella fu apprezzato partner. Superba nella grande scena dei “tre enigmi” Paola ha avuto un magnifico deuteragonista nel tenore Claudio Rocchi, particolarmente applaudito nella sua celebre aria. Viola Sofia Nisio è stata una buonissima Liù, mentre Federico Piermarini e Pino Maldarizzi vestivano i panni di padre e imperatore. Dietro il sipario Nicola Iannielli alla tastiera accompagnava benissimo i cantanti valendosi anche del flauto di Helga Buono.

Poco ci sarebbe da aggiungere a questa recita in teatro da camera se non ci fosse stato lo sforzo collettivo di una intera comunità che si è prodigata per offrire a questi bambini la partecipazione a un momento di pensiero fantastico consistente nel cantare insieme, nell’indossare sgargianti costumi con nastri e pennacchi e nel rendersi partecipi di quella coinvolgente illusione del teatro. Montale, il poeta che si guadagnava da vivere anche come critico musicale, lo definiva un “mondo di cartapesta”, ma si sa che la lirica e il melodramma sono ancora un componente fondamentale di quel canone occidentale che non vacilla sotto i colpi dei centodiecimila ascoltatori del santone del mondo pop. E’ un mondo di nicchia, che vive ormai come i primi cristiani delle persecuzioni e che, nel tempo del covid, ha subito colpi devastanti. Eppure, al primo spiraglio, siamo tornati a respirare l’aria notturna di Pechino. E a sognare di principesse di gelo che si scioglie sotto il primo bacio. Apprezzando l’idea della luna splendente di cartapesta, ricordiamo che oggettistica e costumi, oltre al supporto dei genitori, sono stati offerti dall’amministrazione comunale, dai componenti del Chorus marscianese, e dalla banda di Spina.

Dal Concordia ieri sera è venuta una grande lezione: si può operare musicalmente con gli adolescenti se si agisce con capacità, volontà e spirito collaborativo. Ma ci chiediamo che cosa possano aver capito di tutto ciò i due bimbi che, seduti accanto a noi, sono rimasti immersi per tutta la durata dell’opera sulla tastiera del computer e risolvere i giochi di abilità. Hanno perso una occasione per crescere e collegare i neuroni. Ma probabilmente è questa l’educazione che ricevono dalle loro mamme, che pure si godevano lo spettacolo. La scuola non può rimediare alla carenze educative della famiglia.

Stefano Ragni