Home Attualità Umbria, case popolari chiuse e famiglie in fila: 1.400 alloggi restano inutilizzati

Umbria, case popolari chiuse e famiglie in fila: 1.400 alloggi restano inutilizzati

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Immagine di rawpixel.com su Freepik

Dati Ater: servono fondi e procedure più snelle per rimettere in circolo le case ferme. Sindaci e sindacati: “Così si alimenta l’emergenza abitativa”

In Umbria ci sono famiglie che aspettano un tetto — e case popolari che restano vuote e inutilizzabili. È il paradosso emerso nell’audizione in Terza Commissione dell’Assemblea legislativa: quasi 1.400 alloggi di edilizia popolare sono vuoti e non assegnabili, mentre le graduatorie di famiglie in attesa si allungano di anno in anno.

Il presidente di Ater, Federico Santi, è stato chiaro: su 9.677 case sociali, 8.000 sono affittate, 243 potrebbero essere assegnate subito, ma ben 1.391 sono bloccate. Alcune sono in fase di ristrutturazione, altre in mano ai tecnici, ma la maggior parte — 1.278 — è ancora da verificare. E ogni appartamento da recuperare costa in media 30mila euro.

Intanto, come se non bastasse, l’Ater paga comunque Imu e spese condominiali, svuotando le casse già alleggerite da 12 milioni di euro di affitti non riscossi.
“È un cane che si morde la coda — commentano i sindacati Sunia — servono stanziamenti regionali e nazionali per riqualificare gli immobili e rispondere a chi è in difficoltà”.

A complicare la faccenda ci si mette anche la burocrazia: bandi lenti, verifiche complesse, norme farraginose, come l’obbligo di incensuratezza per accedere a un alloggio. “Se uno ha scontato la pena, perché negargli un tetto?”, ha ribadito Stefano Bandecchi, sindaco di Terni e presidente della Provincia, invitando a non discriminare chi tenta di reinserirsi.

Nel frattempo, i Comuni fanno i conti con famiglie che cambiano esigenze (un figlio in più, una badante da ospitare, barriere architettoniche insormontabili) e con bandi spesso troppo complicati persino da compilare.

Tutti concordano su un punto: servono più fondi per rimettere in sesto le case ferme, ma servono anche regole più snelle per non farle marcire di nuovo tra un bando e l’altro. Altrimenti l’Umbria continuerà a collezionare il paradosso peggiore: case chiuse e famiglie senza casa.