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Soprano e chitarra per un duo di delicatezze a palazzo Gallenga

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Università per Stranieri

Kho Myungiae e Flavio Iuliani, soprano e chitarra per AGiMus

Un insieme raffinato, con molte delicatezza, ma una robusta intelaiatura timbrica. Una voce di soprano e una chitarra che dialogano e si amalgamo secondo ritmi sensibili, con un repertorio piuttosto inusuale e pertanto più gradito. A cominciare dall’insolito accostamento allo Schubert liederistico con due numeri, Serenata e “Margherita all’arcolaio” che siamo soliti ascoltare nella versione originale con pianoforte. Nel concerto di ieri pomeriggio nell’aula magna di Palazzo Gallenga, proprio nei giorni in cui i media diffondono la foto di quella piramide umana di diplomatici e politici di mezzo mondo in cui il rettore Valerio de Cesaris è stato ritratto accanto a Tajani e il potente tra i potenti, il presidente della Cina, Xi Jinping ci fa riflettere sulla internazionalità di questo nostro piccolo ateneo di Palazzo Gallenga, cento anni appena, ma una diffusione senza confini, portatrice di un messaggio di cultura umanistica che non ha eguali nella universalità del sapere. E sarebbe bene che la città si rendesse conto, se mai lo ha fatto, di cosa rappresenti tuttora questo edificio di fattura borrominiana, bello a vedersi, per quanto inestimabile nei valori di umanità che ha saputo condividere col mondo nei suoi intensissimi, cento anni di vita. Parnaso perugino, come lo definiva Capitini, giardino di sapienza come lo ha riconosciuto la comunità internazionale di coloro che amano il vero e il giusto.

Non sorprende che una delle protagoniste del concerto di ieri sia una elegante creatura, una madre di famiglia che ha scelto di vivere a pochi kilometri da Perugia, per testimoniare il suo amore per la musica, il canto e le belle arti. Seoul non è esattamente un paesotto, ma una metropoli di una delle tigri asiatiche. Ma se ha voluto assaporare il gusto della bellezza del canto, Kho Muyungiae, ha coronato il suo sogno di Italia con diplomi e lauree conseguite, nel tempo, nel Conservatorio Morlacchi. Ora vive a Castiglione del Lago, dove appare con assiduità nel cartellone dei concerti della marchesa Maria Zacchia. In settembre, rimarchevole, una sua presenza concertistica con un raffinati Faurè. Ma appena dieci giorni fa ce la siamo ritrovata solista nell’oratorio”Le stimmate” di padre Giuseppe Magrino. E il luogo era la basilica veneziana di santa Maria Gloriosa dei Frari, il tempio dei Conventuali, il luogo dove riposano Canova e Monteverdi e dove la pala dell’Assunta di Tiziano diffonde quotidianamente la sua luce di irrealtà e di sovrasensibile. Ieri, nella asciutta semioscurità dell’aula magna di Palazzo Gallenga, un bel concerto dell’AGiMus di Salvatore Silivestro ci ha consentito di ascoltare la bella voce di Myungiae nella sua veste migliore, impegnata in un bel repertorio di ampiezza internazionale.

Lo Schubert anomalo, come dicevamo, ma poi il pertinente e congeniali Giuliani dell’op. 95, ariette in lingua metastasiana, delicate e sensibili come le voleva l’aristocrazia viennese, alimentata da un musicista pugliese, che, ieri come, oggi aveva scelto di emigrare per essere apprezzato. Giuliani, l’amico di Rossini, violoncellista nelle orchestre di Beethoven, chitarrista stimato da Mazzini e compositore nei salotti viennesi, quando il Congresso dei vincitori decretava le sorti dell’Europa sopravvissuta alla bufera napoleonica. Sorretto dalle bella chitarra del giovane Flavio Iuliani, il soprano coreano, lasciata questo giardino di neoclassicismo tanto esaltato dall’abate Carpani, un “austriacante” che gioiva ogni musica che fosse tersa come un marmo canoviano, si è addentrata in quella modernità che le sembra molto congeniale. Quindi un polittici d Britten, “Chinese songs”, enigmatiche e sintetiche come un quadretto di I-Ching, poi il lussureggiante Villa Lobos dell’ardua Bachiana Brasileira n. 5, un carnoso vocalizzo dove la voce è chiamata a una linea di nostalgia di luce lunare nella foresta amazzonica. E si chiude con la “ballata dell’esilio” di Castelnuovo Tedesco, una immedesimazione del destino del musicista fiorentino, ebreo della diaspora con la figura di Guido Cavalcanti, l’amico e sodale di Dante.

Pagina di intensa umanità interpretata dai due musicisti con concentrazione e compenetrazione. Un bellissimo applauso del pubblico ha siglato una delle tappe del bellissimo percorso che AGiMus e Silivestro compiono col pubblico cittadino. Prossimo appuntamento per martedì con Kafka e la musica nel centenario della morte.
Stefano Ragni