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Dalla tutela dei beni culturali al paradiso fiscale: cronaca di una legge fuori contesto

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Nel cuore dell’Umbria, una norma nata per proteggere Assisi fu usata per far tostare caffè a costo zero. Letteralmente

di A M A R

Come si fa a manipolare una legge? Si fa introducendo di sgamuffo, con una manina occulta, nel suo complesso normativo, una disposizione tarocca che con il resto non c’entra nulla. Poi, si “lavora” sull’interpretazione burocratica. L’esempio classico può essere la legge 9.10.1957, n.976, meglio conosciuta all’epoca come Legge speciale di Assisi. Aveva per titolo: “Provvedimenti per la salvaguardia del carattere storico, monumentale e artistico della città”. Si componeva di 22 articoli, tutti calibrati allo scopo di tutelare i beni culturali del famoso centro umbro.

Tutti tranne uno, l’art.15, di differente natura, che suonava così: “Allo scopo di agevolare il trasferimento e il nuovo impianto delle imprese artigianali e industriali, sarà concessa l’esenzione(!) da ogni imposta erariale provinciale e comunale e relative sovrimposte, per la durata di anni 10 dalla istituzione dell’impianto medesimo”. Capito mi hai? In quella parte dell’Umbria era sorto un punto franco, una enclave fiscale ben definita a norma di diritto. Per lucrarne i vantaggi, fatta la legge, non ci fu manco bisogno di trovare l’inganno. Sufficiente stare o trasferirsi dentro i confini del territorio assisiate e potevi produrre merci esenti da ogni e qualsiasi tributo.

Sarebbe bastata una riflessione semplice andando a vedere come la legislazione definisce i beni culturali: “quelli che compongono il patrimonio storico, artistico, monumentale, archeologico e gli altri che sono testimonianza avente valore di civiltà”. Come ci potevano azzeccare le industrie è difficile da comprendere. Invece, la manina aveva inserito l’art. 15 e, per di più, l’interpretazione burocratica era stata a maglie larghe. Malgrado qualche avvertenza illuminante in corso d’opera.

Nessun cenno esplicito all’incremento dell’occupazione, fattore socialmente strategico dello sviluppo economico. A tal proposito, il Ministro delle Finanze pro tempore disse in Parlamento: “In totale, le 5 torrefazioni di caffè occupano 15 dipendenti, mentre hanno ottenuto esenzioni per oltre 5 miliardi”. In buona sostanza, ognuno di quei posti di lavoro era costato allo Stato una fortuna. Ai signori caffettieri era bastato costruire un capannone, metterci dentro un macchinario per la tostatura, poi sotto, taglia ch’è rosso. Non pagare le rilevanti imposte sul prodotto, significava poterlo vendere a prezzi ridotti, ricavando grassi profitti. Tutto consentito dalla legge.

Ci fu addirittura qualcuno, proprietario di due fabbriche gemelle, una ad Assisi e l’altra altrove, in diversa regione. Faceva arrivare dall’estero materie prime a camionate. Ogni due autotreni – tutta merce in esenzione tributaria – uno lo scaricava in loco, il secondo proseguiva, allegramente, verso la lontana destinazione.

Passarono gli anni e, salvo qualche indignazione qua e là, l’albero della cuccagna continuò ad elargire guadagni a man bassa, lucrando sulla normativa bastarda. A ingarbugliare la matassa ci si aggiunsero le contrastanti disposizioni amministrative emanate dalla classe dirigente romana. E pure le decisioni della Magistratura che, su una istanza di giudizio, prima diede ragione al ricorrente, dopo respinse le sue pretese, infine, in terza sede, gli dette di nuovo ragione.

E’ noto che tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. Nella fattispecie, quando, dalle parti del Governo, qualcuno si mise a far di conto, si accorse della montagna di entrate statali svanite, per colpa della manina galeotta che in una legge di alto profilo culturale, aveva nascosto un inghippo al limite della simulazione. Intanto s’era arrivati, dal 1957 al 1970 e la bolla gonfiata all’esagerazione, esplose. Quasi all’unisono, il grido: Adesso basta! Anzi, indietro l’intero importo dei tributi non pagati. Miliardi, mica bruscolini. Apriti cielo. In qualche caso, significava mandare in malora sane iniziative imprenditoriali e posti di lavoro.

Talché, il quotidiano La Nazione sfornò un titolo clamoroso (12 novembre 1970): “Gli industriali maggiori di Assisi devono pagare tutti gli arretrati”. Perché la legge di modifica cancellava l’articolo dello scandalo. In buona sostanza, la Commissione pose fine alla estensione delle agevolazioni tributarie ottenute con una arbitraria interpretazione della legge n. 976. Non era stato facile arrivare all’approvazione della retroattività per il recupero fiscale, in un “palleggio” inutile tra Camera e Senato. “La situazione anomala di Assisi – sostenne il Ministro – ha permesso arricchimenti in danno dello Stato e della collettività”. Posizione che parve quasi una minaccia.

Il provvedimento approvato a febbraio 1971, sanciva: “La sfera di applicazione dell’art.15 della L. 9.10.57, n. 976, deve intendersi riferito ai seguenti tributi: 1) Imposta sul reddito di ricchezza mobile; 2) Imposta comunale sulle industrie, i commerci, le arti, le professioni e la relativa addizionale provinciale; 3) imposta di patente”. A quel punto, il castello dorato, messo in piedi 13 anni prima, poteva dirsi diroccato. E le gravi distorsioni rimosse.

Non ci furono grossi sostegni in Parlamento per una sanatoria tributaria indiscriminata. Ci fu invece una corale adesione alla difesa dei posti di lavoro e delle piccole imprese (ce n’erano una quarantina), considerate fuori dal cono speculativo. Quindi, l’esigenza di distinguere tra “il sano e l’avariato”. Con un avariato che, si disse, forse esagerando, aveva fatto perdere allo Stato 85 miliardi. Il Presidente della Regione appena nata, si dichiarò disponibile a formulare “un piano d’intervento capace di sostituire ciò che si sta distruggendo”. Il suo fu un “richiamo” accorato.

D’altro canto, la situazione, ch’era per molti pure di disagio morale, aveva assunto ampie dimensioni per la disattenzione prevalente ed appariva pressoché inutile graduare le responsabilità. Lo sviluppo industriale era evidente e nelle nuove fabbriche la gente ci andava a lavorare e si procurava il mantenimento per centinaia di famiglie. Occorreva tenerne conto.

La nuova legge stabilì con chiarezza che il recupero delle imposte non pagate veniva (…) imposto in modo perentorio e retroattivo, salvo il potere dell’Amministrazione finanziaria alla “concessione di congrue rateazioni, fino al massimo di 40 bimestri”. Alla fine della fiera (delle assurdità), funerale e messa cantata per la Legge speciale di Assisi, nata con intenti lodevoli e finita in un mare inquinato da mille polemiche e “baioccame” vario. Per il Governo rimaneva da adempiere ad un ordine del giorno che chiedeva l’adozione di provvedimenti per “riequilibrare la situazione economica e della occupazione sul territorio, con immediatezza ed in modo adeguato”. Puntualizzazione sacrosanta.