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Sua maestà il tartufo, l’“oro nero” che ha reso l’Umbria famosa nel mondo

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Il tubero ha fatto da volano a tutta l’enogastronomia locale, ma per colpa di incuria e mancanza di leggi protezioniste, la produzione è ridotta del 50%

di Francesco Castellini – L’Umbria è una terra speciale, a partire dalla storicità dei luoghi, alla bellezza dei paesaggi incontaminati, fino ad arrivare alla devozione verso i luoghi sacri e a San Francesco, San Benedetto, Santa Chiara che vi hanno vissuto.

È una delle regioni più belle d’Italia, custodisce tesori artistici, monumentali e paesaggistici, oltre naturalmente all’enorme patrimonio di eccellenze enogastronomiche per cui è rinomata nel mondo, come i salumi di Norcia, l’olio, i grandi vini e ovviamente sua maestà il tartufo.

Che sia di Norcia o di Spoleto, della Valle Tiberina, Orvieto e Gubbio, è fra i più stimati a livello internazionale e battuto a peso doro nelle aste che da sempre si accompagnano alla vendita di questa preziosa specie di fungo. Il tartufo ha avuto il pregio di fare da volano a tutta l’enogastronomia locale. Da queste parti lo chiamano “l’oro nero”. In Umbria se ne produce poco meno di un terzo del totale nazionale, in particolare nella zona di Città di Castello dove c’è una forte concentrazione di persone abilitate alla libera ricerca.

Nel mondo tali funghi attualmente classificati come Tuber sono più di 60, ma soltanto 9 sono considerati commestibili e 6 sono quelli più comunemente commercializzati.

Un comparto economico importante, testimoniato anche dal fatto che sparsi sul nostro territorio vi sono 10 mila cercatori (seconda regione dietro all’Emilia Romagna), su un totale di 70 mila in tutta Italia. Parliamo di coloro che sono provvisti di regolare tesserino.

Marino Capoccia, presidente dell’Unione Tartufai Umbri (che riunisce le diverse associazioni territoriali), spiega la situazione ad oggi: «Il tartufo nero è stato già cavato, dunque si possono fare considerazioni più veritiere rispetto al bianco, la cui raccolta è prevista fino al 31 dicembre, per poi passare al bianchetto.

E quindi si tratterà di vedere i prossimi giorni. Su tutto il comparto purtroppo dobbiamo comunque registrare una diminuzione costante della produzione. Ad incidere negativamente il cambiamento climatico, la fauna selvatica, gli indiscriminati tagli del bosco che compromettono l’equilibrio dell’habitat naturale e che ne determinano una diretta contrazione. Per alcune specie siamo in presenza di una riduzione del 50 per cento».

«Pare che purtroppo la stagione in corso sia da annoverare fra quelle più scarsamente produttive – continua Capoccia -. In Valnerina, dove c’è il nero pregiato, i prezzi sono stati tenuti alti, il che significa che anche in quella zona il prodotto è sempre più scarso».

Ad incidere, a quanto sembra, il forte caldo dei mesi estivi, ma anche una normativa che andrebbe rivista e adeguata. La Regione Umbria ha introdotto norme particolari per la tartuficoltura, come l’obbligo di certificazione delle piante prodotte e commercializzate, e la realizzazione della carta delle zone vocate a tale coltura, ma da tempo i tartufai attendono la riforma del settore, in particolare che diventi legge la tracciabilità del prodotto.

«Quello che arriva dall’estero – spiega il presidente – non è certificato. Noi ci teniamo a far sì che ciò avvenga, a garanzia dei raccoglitori e dei consumatori. Questo vale soprattutto per il bianco di pregio, perché l’Umbria è una delle zone meglio vocate d’Italia, anche se in questo caso per fortuna stiamo parlando di un prodotto inimitabile».