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Rifiuti: un business da 150 milioni

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Dieci gestori in Umbria con 1.600 dipendenti, ma il ciclo integrato non funziona come dovrebbe. E intanto si chiede a gran voce un nuovo Piano regionale

Di Lucia Pippi – Un giro d’affari di 150 milioni di euro. È quanto fruttano ogni anno i rifiuti ai dieci gestori che in Umbria si occupano del ciclo integrato.

Una cifra che, però, non garantisce un servizio adeguato, nonostante l’impegno delle aziende che occupano 1.600 dipendenti.

In molti casi, infatti, i cittadini hanno segnalato disservizi con cassonetti che scoppiano perché non vengono svuotati e con una differenziata al 46%, ancora al di sotto delle direttive europee.

I numeri che arrivano dalla Sezione regionale del Catasto dei rifiuti di Arpa Umbria parlano di un dato in crescita rispetto al 2015 del 40%. L’indice di riciclo calcola il rapporto tra la quantità di rifiuti avviati a riciclo al netto degli scarti di processo rispetto al totale della quantità prodotta. L’Ecoforum sui rifiuti di Terni è stato aperto dall’intervento di Stefano Ciafani, direttore nazionale di Legambiente, che ha sottolineato come l’Umbria potrebbe essere la prima regione italiana a raggiungere gli obiettivi delle Direttive europee al 2030: «Ci sono esempi e tecnologie per essere protagonisti a livello nazionale, ma bisogna accelerare».

Questa la sfida che Legambiente ha lanciato all’assessore regionale all’Ambiente, Fernanda Cecchini, presente al Forum.

Come ha spiegato la Cecchini: «Non nascondiamo le criticità, in particolare nel perugino, che stiamo però cercando di risolvere. Bisogna andare verso la gestione unica. L’unica soluzione è il porta a porta e la tariffa puntuale».

Sfida che il nuovo Piano d’ambito dei rifiuti, come comunicato da Giuseppe Rossi, direttore dell’Auri, pronto nella sua versione preliminare entro il 31 dicembre 2017, vuole cercare di raccogliere. Il nuovo documento contiene azioni per una riduzione della produzione dei rifiuti del 25% entro il 2030 attraverso impiantistica d’avanguardia, il porta a porta spinto e la tariffa puntuale.

Ci sono anche altri fattori.

La maggior parte delle discariche in Umbria sta andando verso l’esaurimento.

Dopo le vicende giudiziarie sul caso Gesenu, sono stati fermati gli impianti di Pietramelina e di Borgogiglione. Proprio quest’ultima è stata al centro di una polemica con i residenti. Dopo la dismissione, ad inizio del 2017, deve essere tombata al più presto. Operazione che, al momento, non è ancora iniziata ma che dovrà essere portata avanti in tempi rapidissimi.

A fianco a questo la Regione ha deciso di ampliare l’impianto di Le Crete ad Orvieto sopraelevando il secondo calanco, quello al momento attivo.

È stato stabilito che la società Acea presenterà un progetto che indichi un ridimensionamento della struttura e una ridefinizione, riducendo quantitativi e volumetrie impegnandosi a realizzare strutture impiantistiche moderne e sostenibili.

Un quadro non certamente roseo nel quale pesa, come più volte sottolineato dalle parti in causa, l’assenza di un piano regionale per i rifiuti. Su questo tema è intervenuta la Fp-Cgil settore igiene ambientale. Fabrizio Cecchini, responsabile del settore, e il segretario regionale Fabrizio Fratini hanno puntato il dito proprio contro la Regione che sta rallentando il piano. «I problemi emersi negli ultimi mesi sul sistema delle tariffe, sull’esaurimento delle discariche, sul depauperamento del patrimonio umano e professionale – hanno detto – rendono ancora più necessaria una nuova stagione per la politica dei rifiuti in Umbria».

Per la Cgil le priorità programmatiche restano “la riduzione dei rifiuti, la crescita culturale in materia di raccolta differenziata, l’innovazione del sistema del completamento del ciclo dei rifiuto, il tutto con un sistema di governance e industrializzazione che abbia chiari assetti istituzionali e di sistema e valorizzi le risorse umane”.

Un sistema che appare frammentario e gestito sempre da 5 aziende con costi elevatissimi per i cittadini che si sono visti aumentare le tariffe rifiuti, in molti casi, anche di molto.

A favore di una richiesta urgentissima di un piano regionale c’è anche il Comune di Perugia. Attraverso il suo vicesindaco, l’avvocato Urbano Barelli, che ha presentato un documento di 14 pagine all’Auri (Autorità umbra per i rifiuti e idrico), approvato dalla giunta guidata da Cristian Betti, con il quale chiede alla Regione ufficialmente di modificare il piano dopo che, come si legge nel testo, c’è stato un fallimento degli obiettivi da raggiungere.

Il motivo?

La Regione aveva annunciato a giugno di predisporre, massimo entro fine anno, un piano d’ambito regionale per la gestione integrata dei rifiuti e di produrre, entro tempi molto rapidi (45 giorni) un documento stralcio del Piano d’ambito regionale con proposte su impianti, flussi e tariffe. Di tutto questo, però, al momento non esiste niente di definitivo. Il documento, secondo quanto afferma Barelli, è ancora alla fase di bozza.

«Quanto richiesto dalla Regione è un risultato non perseguibile – continua il vicesindaco – sia sotto il profilo temporale ma ancor più sotto il profilo sostanziale. Il piano d’ambito, come detto, deve essere redatto in conformità al piano regionale sui rifiuti che, allo stato, necessita una modifica sostanziale sia in ordine di mancati raggiungimenti degli obiettivi previsti sia in relazione alle mutate esigenze impiantistiche».

C’è da considerare anche che il blocco delle discariche ha portato ad un diverso svolgimento del ciclo dei rifiuti provenienti dall’Ati2 e, nello specifico, da Perugia.

«La gestione di questa situazione emergenziale – conclude Barelli – ha interessato, il gestore in primo luogo, poi l’Ati2 e l’Auri. Le soluzioni adottate medio tempore hanno portato a conferimenti extra regione o presso impianti ubicati fuori dall’Ati2».

Una serie di situazioni che potrà essere sanata soltanto con una normativa seria e puntuale. Un piano regionale che regoli, quindi, in modo chiaro la gestione di un ambito così delicato e importante. E che sappia dare risposte ai tanti cittadini stanchi di pagare tariffe elevate per servizi che, in moltissime zone dell’Umbria, sono giudicati scadenti, con cassonetti stracolmi e i conseguenti problemi di igiene ambientale.