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Oltre la pandemia resterà lo smart working, consapevoli che non tutto funziona in remoto

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Ci sono attività come la Scuola, Università e anche le celebrazioni religiose, che non possono fare a meno di un contatto e di un’interazione diretta

di Donato Vincenti – L’emergenza Covid-19 sta trasformando in maniera molto veloce anche il mondo del lavoro. Con l’esplosione della pandemia si è diffuso anche da noi, con una rapidità eccezionale, il cosiddetto smart working, il lavoro da casa.

Per evitare il rischio di contagio tra i dipendenti moltissime aziende ed enti pubblici, hanno spedito gli addetti al loro domicilio, dove hanno allestito uffici e postazioni d’emergenza per continuare a lavorare. Ma una volta finita la necessità di stare a casa in massa è possibile che molte imprese decidano di scegliere l’occupazione online per abbattere costi e snellire pratiche burocratiche. Come già succede in altre parti del mondo.

Ma se da un lato si tratta di una grande opportunità che, per alcune fasce di lavoratori può portare obiettivamente a dei vantaggi non irrilevanti, con ricadute positive anche sull’ambiente, tuttavia non tutte le tipologie di business o non tutte le funzioni possono essere svolte in smart working.

Pensiamo alla scuola per esempio. Scattato il blocco, i professori hanno reagito in maniera fulminea e sincrona, senza aspettare imbeccate dall’alto. Si sono attivati con i mezzi che avevano, Skype, Zoom e quant’altro, e hanno messo in atto una grande prova di forza e di vitalità, di coscienza civica, di etica professionale.

Ma sia chiaro anche che la scuola non è questa. Le videolezioni vanno bene per chi già sa. Non funzionano invece con i saperi profondi, quelli che si trasmettono non solo con la parola ma anche attraverso il contatto, la prossemica, lo sguardo. A nulla serve la didattica da remoto quando non si tratta di intonacare i muri bensì di gettare le fondamenta, forti, durature. Perché insegnare, come direbbe il professor Franzò (di Sciasciana memoria), non è insegnare, ma insegnare a capire se hai capito. E a tale scopo occorre vedere quella luce che brilla, quella palpebra che batte, quella fronte che si increspa.

Solo allora si riesce a dire se il transfert è avvenuto. Perché, in altri termini, solo in presenza è possibile giudicare quali semi daranno frutto e quali si perderanno nel vento. È una lezione antica: Platone diceva che “occorre lunga frequentazione fra maestri e allievi perché la fiamma più grande arrivi a far sprizzare una scintilla nella coscienza altrui e ad alimentarla”. E a ben vedere, quel che vale per le aule scolastiche e universitarie, vale anche per “la Chiesa”, che come dice Marcello Veneziani “si pone in quell’intreccio di visibile e invisibile che è la rappresentazione di una spiritualità che si incarna e si fa vita e storia”. Dunque, privando i fedeli di partecipare alle celebrazioni eucaristiche scompare la “comunità vivente che alimenta la fede”. In sostanza per Veneziani è questa “la morte di una civiltà, di una visione della vita, al di là delle stesse confessioni religiose. È la solitudine globale. Uniti solo dal mercato e dalla tecnologia, separati da tutto il resto”.

E dunque se è vero che tutto fa supporre che lo smart working continuerà ad essere presente anche nel nostro futuro, è altrettanto certo che questo, come tutti gli strumenti, dovrà essere ben calibrato alle fasi ed ai tempi non facili che ci aspettano.

L’architettura del lavoro del prossimo futuro dipenderà da quanto sapremo capitalizzare il buono emerso da questo duro periodo, arginando gli aspetti negativi.