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Mercato dell’auto: crollano le vendite ma la causa non è solo la pandemia

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Quali sono i problemi dell’automotive e come si potrebbe superare una crisi spaventosa già da prima del Covid? Ne parliamo in un’intervista esclusiva con Ruggero Campi, presidente ACI Perugia

di Luciano Spada – Le attività legate all’industria automobilistica rivestono un ruolo di straordinaria importanza per l’economia italiana. Umbria Settegiorni inizia con questa prima pubblicazione una serie di approfondimenti dedicati al settore, con particolare riferimento anche all’Umbria.

I dati di vendita del mercato automotive confermano una crisi difficile da superare che coinvolge in maniera critica i concessionari, soprattutto i più grandi, che hanno i piazzali pieni di auto invendute dopo un’estate promettente per la ripresa del settore.

La crisi economica generata dalla pandemia incide sui consumi delle famiglie, le quali non mostrano alcun interesse ad investimenti importanti e preferiscono lasciare il denaro nei propri conti correnti.

A dicembre 2020 il numero delle immatricolazioni ha fatto registrare un -14,9% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. In Italia al 31 dicembre del 2020 sono state immatricolate un milione e 381.496 autovetture, con una contrazione del 27,9% e una perdita pari ad un terzo dei volumi.

Le prospettive per il 2021 non sembrano essere migliori e saranno legate all’andamento della pandemia nei prossimi mesi. Secondo le stime del Centro Studi Promotor, il fatturato dei concessionari ha subito una contrazione di 12,17 miliardi rispetto al 2019, mentre il gettito Iva è calato di 9,97 miliardi. Il dato del billing è confermato anche da Il Sole 24 ore.

Per la sua importanza il settore meriterebbe una maggiore attenzione da parte della politica. Sarebbero auspicabili incentivi sotto forma di aiuti fiscali per le famiglie, simili a quelli già in vigore destinati alle imprese. Questo permetterebbe di svecchiare il parco auto circolante in Italia, tra i più datati d’Europa, anche con importanti ricadute dal punto di vista ambientale.

La prima parte dell’inchiesta inizia con una intervista esclusiva a Ruggero Campi, dottore commercialista, presidente ACI Perugia.

Presidente Campi, durante il periodo del lockdown del 2020 c’è stato un brusco calo vendite delle automobili, poi il mercato si era leggermente ripreso ma le immatricolazioni hanno comunque registrato un -27,9% rispetto al 2019. Il mese di febbraio si chiude con un -12,3% rispetto allo stesso periodo del 2020, e già a gennaio si era registrato un -14%.
Questi dati negativi si possono imputare esclusivamente alla pandemia?

Ruggero Campi

Già da prima della pandemia il settore stava affrontando una crisi spaventosa che non era possibile superare in tempi brevi, con le immatricolazioni calate vertiginosamente. Una crisi diversa, per certi versi più profonda, da quella che è iniziata circa un anno fa.

Chiarisco meglio: il mercato dell’auto nel 2018 e 2019, ha subito una contrazione.

Si sono verificati contesti dove la gente mostrava comunque di essere in difficoltà, le aziende erano già in crisi e a distanza di poco tempo la pandemia ha reso il contesto particolarmente grave, la politica barcollava; c’era ancora uno spiraglio per possibili soluzioni ma come al solito la miopia politica ci ha messo del suo. A questo si aggiunga la pandemia con tutti i rivolti psicologici sulle persone.

Non credo sia un problema di potenzialità degli acquirenti perché il denaro magari c’è, ma alla gente non basta avere disponibilità economica: ha l’esigenza di credere e soprattutto di avere delle prospettive.

Le famiglie non sono psicologicamente orientate ad intaccare i risparmi per comprare un’auto, perché non hanno prospettive di creazione di ricchezza ingessate dalla convinzione che in momenti difficili come quelli che stiamo attraversando, possano servire per questioni più importanti.

I concessionari come fanno a sopportare i costi e a mantenere le strutture?

I concessionari hanno dovuto mettere in piedi delle strutture spaventose ed onerose: basta pensare il pesante costo dell’Imu sulle superfici non di poco conto. Alcuni imprenditori del settore negli anni hanno, per carità, guadagnato bene, altri hanno dovuto chiudere. Chi è rimasto in piedi è quell’imprenditore che possiede una struttura finanziaria molto forte, figlia del passato, ha fatto passi più corti della gamba sino a posizionarsi bene su mercato. Ciò nonostante, sia chiaro, oggi soffrono anche loro.

E le banche come si comportano, li assistono?

Le banche li sorreggono, ma è una forma di sostegno che non può reggere a lungo, lo dovrebbe fare la casa madre rivedendo la politica commerciale (anche per breve tempo) esonerandoli dai minimi di vendita che sono costretti a raggiungere, per poter contare su ulteriori margini di guadagno attraverso il riconoscimento di premi, i così detti bonus.

Eppure noto che in Umbria si lanciano nuovi punti vendita, non è un controsenso economico?

Da qualche anno, la politica delle case automobilistiche è quella di spingere alla creazione di macro aree. Così il concessionario di una piccola zona è destinato a morire.

Le case automobilistiche puntano sempre di più sul grande concessionario trascurando, tuttavia, che i costi di struttura sono comunque insopportabili di fronte a crisi strutturali e poi pandemiche come quella che stiamo vivendo.

Le case automobilistiche dovrebbero trovare nuove soluzioni di logistica, marketing, pensare a nuovi modelli di impresa evitando di mettere in crisi, alla fine, ciò che rappresenta l’ultimo anello della catena.

Non crede che il concessionario grande possa proporre e guadagnare sui servizi post vendita ?

Certo, questa tesi la sostengo da molto tempo, il passaggio culturale è che più dell’auto si devono vendere i servizi, ad iniziare dalla qualità dei servizi e dell’assistenza (post-vendita).

Quale sarebbe una sua ricetta per dare un aiuto in più ai concessionari e spronare in maniera più oggettiva lo sviluppo dell’industria automobilistica?

Avrei in mente due passaggi importanti. Il primo presuppone una sorta di rivoluzione culturale, con l’automobilista che superi l’idea che l’autovettura deve essere propria. Provi ad immaginare in un condominio la condivisione di più autovetture tra i vari condomini e questo a seconda dell’esigenza. In questo caso la comunità potrebbe avere delle soddisfazioni d’uso di diverse automobili con il vantaggio di non doverle comprare, con anche il pregio di conservare maggior denaro da spendere per altre tipologie di consumi.

E’ un concept innovativo che può sembrare lunare ma occorre avere anche il coraggio di osare, soprattutto culturalmente. Mi consenta una divagazione, è quello che da anni manca alla politica!

Sarei dell’idea di consigliare alla politica, quella seria ed efficiente, di rivedere tutta la normativa fiscale di settore, guardando magari quella di altri stati, cercando di incidere con una minore aggressività fiscale sull’automobile.

Nessuno ha il coraggio di prendere in mano questo problema studiando una soluzione ottimale nell’interesse del macro settore per valorizzare l’intera economia. Ritengo che qualora si risolvesse questa impasse, non ci sarebbe più bisogno di proporre gli incentivi, che hanno funzionato senza tuttavia risolvere totalmente il problema e la crisi. Attraverso migliori e maggiori detrazioni fiscali nel settore auto, sono certo che gli italiani le comprerebbero con migliori e più certe predisposizioni.

Tuttavia presidente, per quanto riguarda gli incentivi dati dal Governo, mi sembra che nel 2020 abbiano dato una certa soddisfazione.

Gli incentivi nel 2020 sono serviti, certamente. Ma occorre affermare come gli interventi di tipo straordinario nascono e muoiono. Nella quotidianità il problema è invece strutturale.

Diamo vita a interventi strutturali per il mercato automotive: sono sicuro che famiglie a fine anno cambierebbero con maggiore determinazione l’automobile, aprendo anche il mercato del buon usato.

Le faccio un esempio per meglio spiegare l’esigenza: se comprassi un macchinario, come ad esempio una macchina da cucire, lo Stato mi riconoscerebbe il credito di imposta, mi chiedo perché le automobili sono escluse, mentre vengono inclusi i camion e i furgoni?

L’auto è un fattore della produzione come per le imprese lo sono i macchinari.

E’ un ragionamento banalissimo: il computer lo scarico, l’automobile no! Ancora c’è un blocco psicologico!

Come interpreta e commenta la recente iniziativa delle concessionarie che propone le auto in affitto?

Come ho accennato prima, è un giusto tentativo di far cambiare la cultura all’automobilista: siamo cresciuti con l’idea che la macchina è solo mia, è la più bella, ecc. Quindi interpreto benissimo questo concetto.

Mi spiego meglio, l’affitto dell’automobile è un’ottima proposta da parte dei concessionari, ma al momento non c’è un mercato maturo che possa renderlo conveniente, lo diventa se c’è un mercato buono dell’usato, Il progetto a differenza di altri Paesi in Italia è ancora caro, ma ci arriveremo. Ne sono certo.

L’azienda con l’affitto però non scarica nulla, è sempre tutto proporzionato a quel famoso 20% di detrazione!

Per un parco auto di una società commerciale, affittare un’auto è solo una scelta di sana gestione, non è giustificato per ottenere scarichi fiscali. Posso garantirle che nel settore automobilistico gli sgravi fiscali, o meglio le detrazioni e le deduzioni,sono quasi inesistenti, si parla di spiccioli rispetto all’investimento. Ma questo i nostri politici non lo hanno capito e invece sarebbe vincente una proposta di legge fiscalmente incentivante per salvare il mercato automotive dalla crisi.

Non servirebbe altro. Il sistema si autoalimenterebbe dando vita ad un aumento virtuoso di entrate fiscali ed aumento della occupazione.