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Le nostre acque piene di pesticidi, contaminato il 95% di fiumi e laghi

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L’indagine dell’Ispra fornisce dati da brivido. Sotto accusa
sono soprattutto gli erbicidi, ma anche fungicidi e insetticidi. L’acqua del rubinetto sottoposta a doppio filtraggio

pesticidi_agricoltura_pixabaydi Domenico Paladino – Che strana prassi: si curano le piante e per contro si avvelena l’acqua e l’aria. Si è vero, ultimamente si usano meno pesticidi in agricoltura, eppure l’ambiente risulta essere sempre più inquinato. Un paradosso che si spiega così: da una parte le analisi sono diventate sempre più accurate; dall’altra i fenomeni di contaminazione hanno il potere di dare effetti anche dopo molti anni. 
E dunque, intanto, c’è poco da stare tranquilli.

Queste sono le prime riflessioni di fronte al contenuto dell’edizione 2016 del Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale), costruito sulla base dei dati forniti dalle Regioni e dalle Agenzie per la protezione dell’ambiente. 
Lo studio rivela, senza ombra di dubbio, che sono stati superati di molto i limiti di qualità ambientali. 
E peraltro sancisce pure che dalle nostre parti si sta peggio che altrove. 
Le acque superficiali dell’Umbria risultano, secondo le indagini 2014, contaminate da pesticidi, ma anche piene di fungicidi e insetticidi, in ben il 95% dei punti controllati. Si tratta purtroppo di una contaminazione molto più diffusa rispetto al dato nazionale, fermo al 63,9%. 
Un risultato che dovrebbe allarmare e di molto, e che dovrebbe indurre ad agire in fretta e con la massima allerta, soprattutto a livello politico-amministrativo. Ma purtroppo contro tale degrado non si fa molto, per non dire nulla.

A muovere un po’ le acque ci ha provato il Movimento 5 Stelle. A tal proposito sul sito dell’onorevole Filippo Gallinella si legge: «Come M5S da sempre portiamo avanti la battaglia per fermare il glifosato sui campi ed impedire che i Comuni lo utilizzino per ridurre l’erba in piazze e strade. Questo rapporto sollecita ad adottare con urgenza a livello amministrativo buone pratiche. A livello agricolo, occorre invece implementare con decisione il Pan, il Piano nazionale sull’uso sostenibile dei fitofarmaci, puntando sul loro minore utilizzo grazie alle tecniche dell’agricoltura di precisione in modo da usare quando serve la ‘medicina per la pianta’. Interventi facilmente attuabili che riuscirebbero a garantire sia gli agricoltori che i consumatori nel pieno rispetto dell’ambiente».

Ma l’appello per ora non ha sortito effetto alcuno.

E pensare che le acque superficiali sono importanti. 
Rappresentano l’insieme di fiumi, torrenti, ruscelli e canali, ma comprendono anche laghi e paludi. In sostanza fanno parte di quel ciclo vitale e insostituibile, che è criminale alterare e corrompere.

Ed è per questo che tale patrimonio vitale costituisce oggetto di tutela della normativa europea e nazionale. Studiata nei dettagli al fine di prevenirne e ridurre l’inquinamento e perseguire utilizzi sostenibili.

Buoni intenti che nell’ultimo quindicennio hanno comunque fatto sì che la protezione e la salvaguardia delle acque superficiali abbia conosciuto un vero e proprio salto di paradigma, con il passaggio da un approccio di tipo esclusivamente prescrittivo o di impostazione paesaggistica, ad un approccio più organico, orientato alla conoscenza e alla tutela dei bacini idrografici e degli ecosistemi fluviali, lacuali e marino-costieri nella loro complessità, intesi come insiemi di elementi idrologici, morfologici e biologici.

E va da sé che la tutela degli ecosistemi così individuati costituisce premessa imprescindibile per la conservazione e la valorizzazione delle valenze e delle risorse naturalistiche e paesaggistiche, e per la relativa contestuale salvaguardia dei territori. Ma soprattutto ha avuto il merito di rimettere al centro di tutto la salute dell’uomo.

Ma poi, si va a vedere i numeri, e si rimane a dir poco inorriditi.

Come dicevamo, le acque superficiali, in media, ospitano pesticidi nel 63,9% dei 1.284 punti di monitoraggio (nel 2012 era il 56,9%); quelle sotterranee nel 31,7% dei 2.463 punti (31% nel 2012). Il trend di crescita si aggira su un +20% per le acque superficiali e su un +10% per quelle sotterranee, con gli erbicidi che la fanno da padrone.
Con il risultato complessivo che sancisce un’ampia diffusione della contaminazione che non risparmia nemmeno le acque sotterranee, con veleni presenti anche nelle falde profonde naturalmente protette da strati geologici poco permeabili.

E a questo punto c’è da chiedersi: cosa rimane di tutto questo veleno in quello che beviamo? 
E dunque chi beve il liquido che sgorga dal rubinetto deve preoccuparsi?

A rispondere a questo dilemma è Pietro Paris, responsabile del settore Sostanze Pericolose dell’Ispra e coordinatore dell’unità che ha realizzato il Rapporto pesticidi, che in un’intervista rilasciata a ilfattoquotidiano.it dichiara: «Noi non facciamo monitoraggio dell’acqua che esce dal rubinetto, ma di quella dei corpi idrici. Molto spesso però i prelievi per uso potabile attingono agli stessi corpi idrici che analizziamo. Quasi sempre dobbiamo ricorrere a sistemi di abbattimento e depurazione per poter immettere nel rubinetto acqua a norma, perché i corpi idrici superficiali e sotterranei sono inquinati. Un esempio? Il Po, che viene utilizzato abbondantemente per rifornire intere province con acqua da bere, che però devono depurare. Questo contrasta con il principio fondamentale alla base della Direttiva Quadro sulle Acque, la 60 del 2000, che dice che bisogna prevenire il ricorso all’abbattimento, cioè evitare di inquinare anziché andare a depurare. Quello in corso è un atteggiamento di emergenza fatto sistema». 
E alla domanda: dopo questo rapporto, cambierà qualcosa?

«Noi segnaliamo come sempre le problematiche ai ministeri competenti, in primo luogo quello della Salute, poi dell’Ambiente. Ma non abbiamo poteri di intervento e il nostro parere non è vincolante. Secondo noi sono necessari provvedimenti. Dal 2003 i dati che forniamo dimostrano che le acque sono contaminate da miscele di sostanze. Quest’anno abbiamo trovato 48 sostanze diverse in un solo campione. Ma i fitofarmaci, prima di essere immessi in commercio, sono valutati e autorizzati singolarmente. Non esiste una valutazione complessiva del rischio per le miscele e del resto sono poco calcolabili, perché si formano con meccanismi e vie di migrazione imprevedibili. E’ questa la lacuna normativa più seria». 
E infine, un cittadino che leggerà questo articolo cosa potrà fare? 
«Può prendere coscienza della problematica. E sapere che comunque, per legge, i gestori degli acquedotti non possono immettere nel rubinetto acqua contaminata» – conclude l’esperto.