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La politica torni a rivendicare il suo ruolo di nobile arte

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Se posso indicare un modello, penso a Metternich, il grande statista austriaco

senato-della-repubblicaDi Mario Roych – Fin dall’antichità la Politica è considerata l’arte attraverso la quale si cerca di raggiungere il massimo possibile di bene comune: pace, salute, modelli di vita sana, istruzione, servizi civili, solidarietà e quant’altro. Questo è la buona politica, perché ce n’è anche una cattiva, cioè l’arte per raggiungere finalità che niente hanno a che fare con il bene comune. Purtroppo il pragmatismo imperante ne ha comportata una grande diffusione.

Per molti secoli i manuali della politica si sono diffusamente occupati delle tecniche e dei sistemi necessari per raggiungere lo scopo e a noi sono venute soprattutto le analisi, oltre che di Platone, Plutarco e Aristotele, quelle di Machiavelli e quindi di Montesquieu e di Rousseau, e ancora del pensiero marxista e illuminista, e più recentemente, di autori come Popper e il nostro, tra i più noti corregionali, Dario Antiseri, e di politici come Gramsci e Don Sturzo, entrambi con approcci rivoluzionari.

Dando per scontato che la democrazia è un metodo imperfetto, ma il migliore finora inventato per scegliere i governanti, giova soffermarsi su alcune costanti: il rapporto tra morale e politica; quale soggetto è deputato a esercitare quest’arte; i rapporti con lo sviluppo tecnologico. C’è chi ritiene che i piani della morale e della politica siano separati e separabili. A mio avviso, non può esserci una buona politica senza principi morali, se lo scopo finale è il raggiungimento del bene comune. E, infatti, in questo periodo non c’è buona politica, a livello mondiale e nazionale (in tutti i territori), proprio perché l’obiettivo non é più il bene comune ma é il potere di singoli, di gruppi, di aggregati economici e di Stati. Ad esempio, conta più il livello dei bonus riconosciuti a manager privati e pubblici, che la diffusione del benessere a tutti gli strati sociali; oppure, è più importante un pozzo di petrolio, da difendere con le unghie e con i denti, anche con le armi- il cui uso è facilitato oggi dai droni-, piuttosto che la pace nei territori ove si trova quella risorsa.

Gramsci e Don Sturzo hanno mutato i caratteri del soggetto deputato a far politica. Fino agli albori del secolo scorso, il Politico era un Uomo, naturalmente dotato di doti particolari: oratoria, capacità di comando, visione alta dei problemi, valutazione delle risorse, coinvolgimento di collaboratori capaci, comportamento individuale trasparente, ecc. Se posso indicare un modello, penso a Metternich, il grande statista austriaco, capace di creare un equilibrio europeo durato cent’anni e di valorizzare le autonomie di regioni molto differenti fra loro.

Con il ’900, ha cercato di assumere un ruolo, un soggetto collettivo, la classe operaia secondo il politico sardo-piemontese, il popolo intero secondo quello siciliano. Entrambi erano convinti del fatto che soltanto i partiti potevano garantire il collegamento tra i disegni dei Governanti con le aspirazioni del popolo, emarginato per troppo tempo. Questo soggetto collettivo ha funzionato bene per un lungo periodo, come cinghia di trasmissione tra il popolo e il potere e per selezionare le classi dirigenti. Va ascritto a loro la creazione di un nucleo di Stato sovranazionale e l’adozione di un welfare universale. I partiti, inoltre, hanno formato, direttamente o tramite istituti formativi pubblici, personale dirigente molto preparato. Ad esempio, quando si affrontò il tema della programmazione, l’Unioncamere realizzò, su sollecitazione di uomini di governo, quali Fanfani, La Malfa e Colombo, una scuola per preparare quadri di programmatori. Quella stagione è superata, ma non è chiaro il da farsi. Possiamo pensare che la “rete” sostituisca i partiti? Ho i miei dubbi, anzi penso sia più utile la riforma e l’adeguamento dei partiti. In questa prospettiva la rete può dare grande aiuto, ma occorre che i dottori in filosofia politica progettino, insieme a manager esperti nelle reti e negli algoritmi che le governano, un sistema organizzativo che garantisca partecipazione top-down e down-top, efficienza e ricadute in termini di selezione di classe dirigente.

Ovviamente anche all’interno di un gruppo finiscono per emergere uomini di maggior valore, che sarebbe deleterio sottoporre a un processo di ricambio indiscriminato e sottoposto a criteri temporali. Questi sono metodi validi per le persone di seconda fila, non per i leader. Semmai un gruppo dirigente (composto di persone volitive e non di mummie) può essere ricambiato per una quota, diciamo per un quarto in ogni legislatura. La continuità di un gruppo dirigente costantemente rinnovato, è la condizione per esercitare il primato della politica – come volontà popolare – sui gruppi che si sono sottratti a questa regola, in misura rilevante nell’ultimo ventennio. Rimanendo nell’ambito nazionale, la mia attenzione si porta sullo strapotere della burocrazia pubblica che domina le decisioni (come si è visto di recente anche in Umbria per la sanità e in un tempo non troppo remoto nei trasporti pubblici locali).

Un tema da analizzare con attenzione è invece il rapporto con le nuove tecnologie. E’ ovvio che a esse dobbiamo guardare con rispetto, ma sarebbe giunto il momento che la politica orientasse le sue applicazioni al raggiungimento del bene comune sulla terra, ovviamente in collaborazione con gli scienziati, ma non delegando tutto ad essi.