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Gli effetti del Covid-19 sull’export umbro

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L’intensità della contrazione del commercio mondiale nel 2020 dipenderà dalle dinamiche evolutive del contagio nei prossimi mesi

di Domenico Paladino – La crisi economica da Covid-19 è particolarmente difficile da affrontare perché colpisce sia il versante dell’offerta che quello della domanda, interna ed estera.

In particolare, la pesante flessione dell’export genera ripercussioni importanti sulle economie locali. Questo è vero soprattutto per quelle aree per le quali quello estero è un importantissimo mercato di sbocco; un po’ meno lo è per regioni più autoreferenziali come l’Umbria, sostenute prevalentemente dalla domanda interna.

A livello nazionale, secondo le più recenti stime della Commissione europea, le esportazioni nel 2020 potrebbero diminuire del 13%, ma la perdita pronosticata da Banca d’Italia si spinge al -15,4%.

Ad essere più penalizzati sono i comparti manifatturieri.

Tenendo conto della specializzazione dell’export umbro, per la quale i primi quattro settori (metallurgia, meccanica, moda e alimentare) da soli coprono oltre due terzi del totale, si prefigurano conseguenze fortemente negative sulle esportazioni regionali. Questo anche in considerazione del fatto che la domanda estera di prodotti umbri per i 2/3 proviene dagli stati dell’UE28 (la Germania da sola copre quasi un quinto dell’export totale umbro) e per un 10% ciascuno dagli Usa e dal continente asiatico.

Come si colloca l’Umbria?

In realtà, il grado di sofferenza derivante dal calo del commercio estero dipende non solo dalla struttura delle esportazioni e dalla variazione attesa della domanda estera per settori e per paesi, ma anche dal grado di apertura regionale (fatturato esportato su Pil), in Umbria notoriamente sottodimensionato. Combinando questi fattori è possibile arrivare ad un indice sintetico in grado di rappresentare l’impatto derivante dalle variazioni della domanda estera.

È quello che ha provato a fare Prometeia con il suo “indice di vulnerabilità” calcolato per le economie regionali. In base a queste elaborazioni, le regioni più esposte alle ripercussioni derivanti dalla contrazione della domanda internazionale sono Emilia-Romagna, Veneto e Toscana, mentre la meno penalizzata risulta essere la Calabria.

La sintesi di queste due informazioni è condensata nell’indice composito di vulnerabilità, che vede l’Umbria nella seconda metà della graduatoria al 13° posto con 0,57. Come va letto questo suo posizionamento?

Intanto va detto che la regione in fase di recessione risentirebbe di meno dello shock esterno, avendo una vulnerabilità alle variazioni dell’export più bassa della media, cosa che in prima battuta potrebbe essere letta come un relativo vantaggio. In realtà questo dato costituisce di fatto un elemento di debolezza, perché impedisce alla regione di beneficiare appieno del potere propulsivo della domanda estera nelle fasi espansive.

Da ricordare a proposito che il rapporto tra il fatturato esportato sul Pil prodotto in Umbria ha raggiunto nel 2018 il 18,9% (il valore più alto di sempre), ma solo grazie all’eccezionale crescita delle esportazioni (+9%) in un quadro di quasi stazionarietà del Pil nominale. L’export umbro è poi tornato a calare nel 2019, in controtendenza ad una performance italiana ancora in aumento. L’intensità della contrazione del commercio mondiale nel 2020, così come le aspettative di rimbalzo per il 2021, dipenderanno ad ogni modo dalle dinamiche evolutive del contagio nei prossimi mesi.