Home Economia Dalla smart city alla smart land la bellezza da sola non basta

Dalla smart city alla smart land la bellezza da sola non basta

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Ulderico Sbarra, segretario Regionale Cisl Umbria
Ulderico Sbarra, segretario Regionale Cisl Umbria

Il Segretario Generale Regionale Cisl Umbria Ulderico Sbarra traccia delle linee guida per il rilancio dell’economia e dello sviluppo dell’Umbria

Ulderico Sbarra, segretario Regionale Cisl Umbria
Ulderico Sbarra, segretario Regionale Cisl Umbria

Di Ulderico Sbarra – L’idea della bellezza, della valorizzazione del territorio e in particolare del bello artistico: una ricchezza che in Umbria insiste nella sua varietà e importanza. Di questo ultimamente si interessa il dibattito economico locale ritornando sicuramente su un tema interessante. La discussione porta ad evidenziare come questo aspetto, che ricade in particolare sotto la voce “servizi tradizionali”, nella nostra regione venga percepito come un motore di sviluppo poco efficiente, nonostante le potenzialità.

A focalizzare questi due aspetti, altrettanti approfondimenti: uno studio dell’Aur – Agenzia Umbria Ricerche mette in evidenza che il territorio regionale per quasi la sua interezza è rispondente ai canoni della grande bellezza; dall’altra parte, poi, un recente studio sulla produttività umbra dell’Università degli Studi di Perugia evidenzia come proprio questo comparto pecchi di efficienza.

Quindi da un lato la filiera cosiddetta Tac (Turismo, Arte e Cultura), peraltro già attenzionata in passato per le sue specificità, racchiude in sé una potenzialità che può dare risultati economici e, dall’altro, la stessa che però non viene utilizzata per le reali opportunità offerte.

Il dibattito è propagandato da vari ed autorevoli soggetti: istituzionali, politici, imprenditoriali del mondo della cultura. Ma, seppur importante, rischia di prendere la strada dell’inutilità. Parlare di cose nobili quali la bellezza, l’arte e la cultura può offuscare la vera emergenza della nostra regione che riguarda prima di tutto l’aspetto economico e poi quello sociale. Capitoli che, stando agli ultimi dati disponibili, confermano profonde fragilità in termini di reddito, consumi e occupazione.

Perché se è vero che abbiamo una potenzialità inespressa, evidentemente da valorizzare, questa non può essere da sola la soluzione della questione economica, la risposta definitiva ai problemi dell’economia regionale, in sofferenza da anni.

Il modello di sviluppo della nostra regione va assolutamente rivisto. E’ questo il punto centrale da affrontare, sul quale concentrare tutte le nostre forze. Ma la soluzione non può che essere un modello plurale, fatto di manifattura, industria, commercio, turismo, servizi e altro ancora. Tutto ciò che rappresenta da sempre le nostre eterogenee vocazioni, competenze e opportunità diffuse (già radicate sul territorio), nelle quali però va ricordato che il sistema manifatturiero rimane il cardine, il volano centrale dell’economia umbra della creazione della ricchezza (Pil), grazie al proprio interessante tessuto diffuso di piccole e medie imprese, artigiane e industriali.

Lo scivolamento verso Sud della nostra regione deve essere invertito e ciò non può che avvenire attraverso gli investimenti, il lavoro e la produzione: condizioni che però non sono facili da creare in quanto non esistono automatismi. La questione peraltro non va semplificata con ipotesi di soluzioni miracoliste. Bisogna andare in profondità e prendere atto che è finito un modello importante come quello del “Socialismo Appenninico”, che nel Dopoguerra, in particolare con l’istituzione regionale e con il piano di sviluppo sostenuto e agevolato da tutte le forze politiche locali che ne colsero con lungimiranza le potenzialità, concorse a creare le condizioni che si tradussero nella creazione di una nuova istanza geopolitica: il Centro. Soggetto che si collocava come una nuova esperienza tra le storiche definizioni di Nord e Sud, ereditate dall’Unità d’Italia.

La questione, per essere affrontata in modo credibile, dovrebbe partire proprio da questa consapevolezza: da un nuovo riassetto nazionale che si interroghi sull’originale e importante esperienza mediana, che si è mirabilmente posta tra l’efficientismo produttivista del Nord e l’assistenzialismo diffuso del Sud.

Un dibattito serio dovrebbe partire dall’analisi di questo aspetto e muoversi dall’interrogativo di cosa comporterà per le nostre genti il venire meno di un modello laborioso, solidale, universalista, inclusivo come quello rappresentato dalle regioni del Centro, che ha contribuito a realizzare e condividere le condizioni di benessere e qualità dei nostri territori.

Se guardassimo con attenzione alcuni aspetti macro, della nostra regione coglieremo una realtà vecchia con giovani che se ne vanno, ma soprattutto la fine del policentrismo umbro. Ciò anche perché la popolazione si concentra nella città capoluogo, Perugia, che cresce a discapito degli altri centri che, se al di sotto di cinquemila abitanti, possono essere considerati in fase di avanzato spopolamento.

Questi aspetti, seguendo il metodo dei sistemi di lavoro locali (che mostrano come cambia il lavoro nei vari ambiti territoriali), dovrebbero indicare alcuni punti su cui correggere il modello. Questioni che sono aperte anche nelle regioni vicine, come le Marche, con le quali l’Umbria condivide i problemi economici, i temi delle aree interne e quindi la discussione sull’Italia Mediana.

Dovremo quindi insistere nel dialogo sull’Italia di Mezzo e su quello che la stessa rappresenta: un’area più grande infatti può essere un’opportunità in quanto può generare, a partire dalla massa critica degli abitanti, la premessa a un nuovo modello economico sociale che sappia correggere e aggiornare il vecchio in un’ottica di salvaguardia di quelle specificità, vocazioni, culture e relazioni che hanno caratterizzato le nostre comunità.

Andare oltre lo stato delle cose, il provincialismo, l’isolamento e lo spopolamento vuol dire impegnarsi sul territorio e, in particolare, su quei temi determinanti di un nuovo modello geopolitico, economico e sociale, che non può correre il rischio di essere esaurito con le discussioni -seppur importanti- sulla bellezza. Un tema che deve essere affrontato con serietà e consapevolezza in tutte le sue articolazioni e complessità.

Il valore aggiunto di questo progetto, che può generare opportunità e attrarre competenze e investimenti di vario genere, passa per un modello funzionale, sostenibile, equo e solidale, che sappia valorizzare la qualità della vita, delle relazioni, della bellezza nel suo insieme.

La bellezza quindi va bene se fa parte di un piano credibile e articolato, altrimenti rischia solo di essere una semplificazione messa in atto da una politica a corto di idee e travolta dalla lunga recessione, oppure dalle passioni di qualche novello mecenate.

Quella che ci aspetta è una sfida appassionante e necessaria che passa per la centralità del territorio, per il nostro impegno diretto che dovrà avere la forza di andare oltre l’isolamento e il provincialismo, l’agenda urbana e la smart city, iniziando a ragionare almeno di smart land: un progetto più concreto e consono ai nostri obiettivi, dal respiro innovativo per cui varrebbe la pena impegnare idee e risorse.