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Covid nel mondo, la guerra silenziosa che rischia di farci diventare migliori

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Nonostante tutti i problemi causati dalla pandemia si inizia a comprendere che solo un’umanità meno divisa e più solidale potrà essere in grado di vincere la battaglia

di Francesco Castellini – C’è già chi l’ha definita senza mezzi termini la Terza Guerra Mondiale. Di fatto, dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle del 2001 e la crisi finanziaria del 2008, il Coronavirus rappresenta il terzo grande evento dall’inizio del millennio, col potere di ribaltare la storia, in grado di scompigliare ogni certezza, tramortire le nostre vite, e dunque porre una linea di demarcazione fra presente e futuro, fino a farci dire: “da oggi nulla sarà più come prima”.

Sì, perché siamo in presenza del primo “conflitto” della nostra epoca in cui il pianeta intero combatte contro un nemico comune, silenzioso, potente e spietato. Un “microrganismo acellulare”, come lo chiamano gli scienziati, visibile soltanto al microscopio, capace però di colpire, terrorizzare e uccidere, anche senza mostrarsi. Per ora invulnerabile.

La caccia al killer in libertà, fino ad oggi inafferrabile, è condotta da un esercito di ricercatori nei laboratori: lì è in corso quella che in molti chiamano “la madre di tutte le guerre biologiche”.

I soldati coraggiosi, i combattenti in prima linea, sono i medici, gli infermieri, tutti coloro che stanno rischiando la propria vita per tentare di salvare quella dei loro simili ammalati.

Poi c’è tutto il resto del mondo, costretto a fuggire, a nascondersi, a rifiutare ogni contatto sospetto. L’imperativo è non farsi acciuffare, non essere infettati per non morire, per non contagiare nessuno.

E così in un attimo sono crollati tutti i dogmi e le convinzioni. Chi ha vissuto il secolo scorso, seguendo in varie vesti i tanti conflitti che l’hanno agitato, in questa occasione si scopre improvvisamente inerme, impreparato, confuso, più che mai solo.

Una guerra che a ben vedere non ha nulla di simile a quelle del passato. Non assomiglia neppure alle epidemie di un tempo.

Questa è più devastante e vigliacca. Si accanisce soprattutto sugli anziani, se la prende con gli umani più fragili, quelli già indeboliti da altri malanni, ed è capace di provocare di riflesso conseguenze catastrofiche, rispetto alle quali altre crisi epocali, come quella del 1918 e del ’29, parranno una lieve influenza.

E dunque si paventa all’orizzonte la visione di una società residuale che assomiglierà a quella del tanto famigerato day after nucleare.

Nel frattempo intanto abbiamo a che fare con un popolo imprigionato e privato delle più elementari libertà, con persone a cui sono negati perfino i trattamenti ambulatoriali per patologie croniche, esami clinici, coronarografie, urgenze dentistiche, cure fisioterapiche, psichiatriche, neoplastiche, podologiche, cardiocircolatorie, dermatologiche, di riabilitazione, di terapia del dolore, otorinolaringoiatriche e tutto il resto che non sia Pronto Soccorso.

Quando mai si era assistito ad una simile ecatombe?

Una devastazione, uno scempio, con problematiche sanitarie psicofisiche ingigantite dal prolungamento della reclusione senza cure adeguate, senza aria, senza sole, senza movimento e socialità.

Sì è vero, un malessere planetario, che però non ci porta di certo a consolarci col popolare detto “mal comune mezzo gaudio”, ma semmai ci induce a sposare la teoria degli storici, quando affermano senza ombra di smentita “la sorte della povera gente si somiglia sempre”.

Uno scempio a cui va a sommarsi come se non bastasse il sociocidio di categorie di piccole e medie imprese della produzione e del commercio, destinato a naufragare con il loro seguito di partite Iva, precari, part time, disoccupati, semioccupati, artigiani.

Un’ecatombe generalizzata alla quale si tenta di provvedere monetizzando la reclusione e i danni conseguenti, con lo spargimento propagandistico di elemosine una tantum, promesse che spesso tardano ad arrivare.

E davvero mai si era visto un virus così devastante, capace di provocare oltre a danni fisici e sociali, guasti di immane portata, così esagerati da riuscire ad allargare ancora di più quella già intollerabile forchetta che sancisce da tempo il divario fra i pochi ricchi e i troppi poveri della Terra.

Insomma, “grazie” al Coronavirus noi umani siamo diventati in un lampo una sconfinata prateria di conquista, e al contempo ci siamo scoperti più deboli, un esercito scomposto, impreparato, diviso.

Ma se è vero che tale “sabotatore” segna uno spartiacque nella storia del mondo intero, c’è anche di che poter pensare che nell’era del post Covid-19 si possa assistere ad una palingenesi sistemica.

Ne sono convinti tanti studiosi e uomini di Chiesa. Che vanno ripentendo in coro: “Sarà come un dopoguerra, con le sue macerie, con la necessità impellente di impiegare tutte le migliori risorse nella fase di ricostruzione”. E allora forse è il caso di non perderci d’animo.

Perché se il Covid-19 ci ha scippato della nostra frenetica normalità, se la vita di relazione in questi giorni sembra compromessa, non ci resta che puntare a fare di necessità virtù. Organizzarci per non ricadere negli stessi errori, il primo fra tutti il peccato di presunzione e egoismo.

Tradotto in altri termini, è questa una occasione unica e speciale per ritrovarsi uniti e solidali, per mettere da parte le lotte fratricide tra economie, tra stati, tra valute, tra pubblico/privato, tra aziende, tra settori produttivi, tra famiglie, tra persone. Perchè la solidarietà su cui si sta ora molto insistendo potrebbe divenire l’unica “arma”, il “vaccino” vincente contro la pandemia.

E se è pur vero che così la ricostruzione degli equilibri economici sarà lunga e dolorosa, avrà comunque il merito di ridisegnare un pianeta diverso.

Del resto la storia ce lo insegna: il genere umano ha attraversato e superato nella sua epopea sul pianeta Terra molte situazioni complesse, avendo in mano sicuramente una dotazione di strumenti inferiore a quella di cui disponiamo oggi nel 2020.

Abbiamo quindi anche stavolta di certo la possibilità di “vincere” la guerra, soprattutto se strategicamente saremo in grado di mettere in campo un esercito unito, che persegue un unico comune obiettivo.

In ultima analisi, serve costruire una nuova mentalità per entrare in un nuovo mondo post World War III.