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Coronavirus, Pozzo un paese agli arresti domiciliari

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di Francesco Castellini – Non si può entrare né uscire, a Pozzo, piccola frazione di 500 abitati del Comune di Gualdo Cattaneo. Qui è stata istituita una quarantena forzata, che ha letteralmente posto agli arresti domiciliari tutti gli abitanti del paese.
E ciò che è più triste è che non si sa quanto durerà ancora questa reclusione.
Da venerdì 27 marzo Pozzo è la prima zona rossa dell’Umbria.
Da qui è vietato uscire ed entrare. A fare da vedetta ci sono Polizia, Carabinieri, Esercito. Tutti e tre gli accessi sono bloccati da check point militari.
La presenza di 21 contagiati e dell’84% di popolazione risultata positiva ai tamponi, ha indotto la presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, ad emettere l’ordinanza.
Tutto avrebbe avuto inizio dal 13 marzo, quando ci sono stati dei contatti fra persone durante la celebrazione di una laurea, con la presenza di un soggetto già positivo proveniente da Pesaro. Ma a contribuire alla diffusione anche una funzione religiosa e il seggio per il voto delle suppletive per il posto al Senato dell’8 marzo. C’è stata l’evoluzione di un cluster che ha visto al 27 marzo il coinvolgimento complessivo di 53 persone tra positivi e contatti. E da qui i dati epidemiologici inquietanti.
Oggi l’intero paese risulta bloccato. È scattata anche la soppressione di tutte le fermate dei mezzi pubblici e delle attività lavorative per residenti o domiciliati, ad esclusione di quelle necessarie a garantire il sostentamento, l’allevamento degli animali, le attività non differibili come generi alimentari, servizi socio sanitari in case per anziani e disabili.
Garantiti il servizio di raccolta rifiuti, la consegna a casa di cibo e farmaci. Possono entrare solo forze dell’ordine e operatori sanitari. È stata avviata la sanificazione di strade e piazze.
Ma è evidente che ci si sente in galera.
E sono in molti che mugugnano, sconsolati e impauriti da tale situazione incresciosa e imprevista che si è venuta a creare.

Un signore con la mascherina si sfoga parlando dal proprio giardino: “Tutti ci chiediamo, ma quando riavremo le nostre libertà? Quando finirà questa guerra?”. Insomma quel che si comprende è che la popolazione vive nel doppio timore, da una parte quello di essere colpita da questo maledetto virus, dall’altro di dover assistere ad una condizione di prigionia che da eccezionale possa diventare permamente, o perlomeno prolungarsi per mesi e mesi.

E c’è anche un ragazzo, neolaureato in Giurisprudenza, che, sempre protetto da una mascherina, a rigorosa distanza di sicurezza, si esprime così: «È evidente che ogni diritto perso è perso per sempre. Come cittadini rimaniamo attivi e siamo consapevoli che possiamo accettare tutto e accetteremo tutto: serrate, orari controllati, percorsi obbligati, quarantene, ma quello che fa più male è percepire che tutto questo forse si sarebbe potuto evitare semplicemente se certi allarmi fossero scattati prima e se la Sanità pubblica non fosse stata oggetto di folli “razionalizzazioni”, con l’aggravante di aver usato fin qui senza criterio sostanziali “tagli” di cui oggi ne paghiamo tutti le spese. In questa condizione mi trovo a riflettere lungamente da solo, e mi sono dato un compito, quello di vigilare sempre affinché gli errori di una classe politica non debbano essere pagati con la sacra moneta della libertà e intaccando il patrimonio dei nostri sacri diritti».