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Coronavirus: l’Umbria potrebbe perdere oltre un miliardo di euro

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È la previsione dell’Agenzia Umbria ricerche, ente regionale di studio e analisi dei fenomeni economici e sociali

L’emergenza coronavirus sta segnando drammaticamente le nostre vite e in questi giorni la priorità è senza dubbio quella sanitaria. Parlare, oggi, delle ricadute economiche che ne conseguiranno non significa voler mettere in secondo piano l’urgenza sanitaria ma vuole contribuire a far riflettere sulle pesantissime implicazioni che ne deriveranno dal punto di vista dello stato di salute della nostra economia e, dunque, anche della sua capacità di provvedere al benessere collettivo.

Le inevitabili conseguenze sulla produzione del reddito a causa delle forti contrazioni sia della domanda che dell’offerta sono ancora difficili da stimare, perché la durata e l’intensità delle ripercussioni ma anche le capacità di recupero del nostro sistema produttivo saranno determinate dall’evoluzione temporale e geografica dell’epidemia.

Il rallentamento generalizzato dell’attività economica, che in alcuni casi significa vero e proprio arresto, e il calo della domanda stanno incidendo pesantemente sulla complessiva capacità di produrre reddito, pur con effetti differenziati tra un settore e l’altro. Circa questi effetti analisti e associazioni di categoria hanno già provato a quantificare l’impatto economico settoriale. Tenendo conto dell’esito di queste prime valutazioni e delle peculiarità produttive della nostra regione, abbiamo così cercato di stilare una graduatoria dei settori a seconda delle potenziali ricadute sulla generazione di valore aggiunto in Umbria. Abbiamo immaginato una classificazione in quattro gruppi:

Settori a impatto molto negativo

Effetti più immediati si riversano in molti settori del terziario, quali il commercio, il turismo, i trasporti e la logistica, conseguenti alla limitazione dei movimenti delle persone e del blocco imposto agli esercizi. L’annullamento degli eventi e delle attività sportive si sta ripercuotendo pesantemente altresì sul settore della cultura e dell’intrattenimento. Inoltre, l’aggravamento dello stato di emergenza sta colpendo più direttamente alcune branche manifatturiere, penalizzate dal calo generalizzato della domanda e dall’interruzione delle catene di fornitura globali e nazionali, in primis l’automotive, la meccanica, l’elettronica, il tessile-abbigliamento.

Settori a impatto negativo

L’agricoltura, la cui fragilità è accentuata dall’elevata deperibilità delle produzioni, soffrirà per il calo della domanda collegata al blocco della ristorazione e anche per la probabile difficoltà a reperire manodopera per la raccolta stagionale. L’industria alimentare, oltre alla drastica riduzione dei consumi del canale del food service e al rischio di interruzione delle catene di approvvigionamento, risente fortemente del crollo dell’export, in parte controbilanciato dall’aumento dei consumi delle famiglie. L’industria metallurgica, che avrebbe potuto approfittare del calo della produzione dei concorrenti asiatici, in realtà risentirà del calo della domanda globale e delle strozzature dei canali di fornitura, al pari di altri settori manifatturieri. Naturalmente la contrazione delle attività produttive impatterà anche sul fabbisogno energetico. Per le costruzioni e per le attività immobiliari si prospetta una ulteriore contrazione in un mercato già stagnante. Effetti negativi si prevedono anche per il comparto dei servizi professionali e tecnici strettamente legati alle attività produttive e per le attività di intermediazione creditizia che potrebbero soffrire per il deterioramento dei crediti delle imprese più esposte alla crisi.

Settori a impatto non rilevante

Il settore della pubblica amministrazione è per sua natura poco sensibile a shock esterni, in termini di capacità di generazione del reddito, non a caso viene considerato un naturale ammortizzatore in situazioni di crisi. Anche le utilities, ad eccezione della fornitura di energia, potranno non subire contraccolpi particolarmente significativi, come pure i servizi collegati alle attività amministrative, che possono più naturalmente ricorrere allo smart working.

Settori a impatto positivo

In questo generalizzato stato di crisi, si distinguono alcuni comparti suscettibili di effetti positivi, collegati all’esplosione di un particolare tipo di domanda, in primis quella medico-assistenziale. Il comparto sanitario e con esso tutto l’indotto, a partire dall’industria farmaceutica, per rispondere adeguatamente a sollecitazioni senza precedenti, sono chiamate ad accrescere l’organico e il ricorso a servizi in outsourcing.

Inoltre, con la limitazione degli spostamenti fisici, il generalizzato aumento dello smart working e la crescita del consumo di prodotti culturali fruibili virtualmente generano un aumento dell’utilizzo dei servizi on line con ricadute positive su tutto il settore della informazione e comunicazione.

Tenendo conto dell’articolazione settoriale del valore aggiunto, ci si accorge che i settori più esposti al rischio di recessione contribuiscono a generare in Umbria, come del resto in Italia, più del 70% dei redditi. Già questa evidenza dà conto della pervasività dello shock che sta attraversando la nostra economia.

Considerando che le previsioni di crescita del Paese prima dello scoppio dell’epidemia erano già prossime allo zero, è quasi certo che si stia andando verso una recessione. Quantificarne in modo attendibile la portata è ancora prematuro, vista l’imprevedibilità delle numerose variabili chiamate in causa. Tuttavia, avanzare ipotesi e disegnare scenari può essere utile per ricavare stime di riferimento che quanto meno possono fornire un’idea degli ordini di grandezza della possibile contrazione dell’attività economica, almeno nel breve periodo.

Ipotizziamo allora di individuare per ciascuna delle quattro categorie di settori un range di variazione del corrispondente valore aggiunto tra due scenari, uno più grave e uno meno grave.

L’esito di questa simulazione quantifica la stima della variazione del valore aggiunto riferita al primo semestre del 2020, considerando che le misure di contenimento hanno cominciato a generare i loro effetti a partire dalla seconda metà del primo trimestre e impatteranno ancora di più nel secondo.

Sulla base di queste stime, la contrazione dell’attività economica in Umbria nei primi sei mesi dell’anno potrebbe oscillare tra il -2,8%, nello scenario meno grave, e il -12,2%, nello scenario peggiore. In termini monetari, ciò corrisponderebbe a un decremento del valore aggiunto tra i 280 e i 1.230 milioni di euro.

In ogni modo, una significativa battuta d’arresto che dà concretezza allo stato di difficoltà di questi tempi.

Anche immaginando la fine della emergenza sanitaria in un futuro molto prossimo, la ripresa economica sarà comunque difficile, graduale, differenziata per settori ma soprattutto segnata dalla necessità di ritrovare nuovi equilibri in uno scenario, non solo umbro, completamente mutato.

©Agenzia Umbria Ricerche
17 marzo 2020